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Dossier Europa/ La nuova generazione europea
  
di Giacomo FILIBECK*

Dossier Europa

Quando Giuliano Amato, in qualità di Vicepresidente della Convenzione europea, rispondeva a margine delle riunioni a Bruxelles alle incalzanti domande della stampa internazionale sul destino finale della bozza del Trattato costituzionale, il suo ironico augurio suscitava sempre curiosità: “Speriamo che sia femmina!”.

All’indomani del licenziamento della proposta elaborata dalla Convenzione pochi in effetti si vollero sbilanciare sul genere della neonata bozza. Molti, tra coloro i quali avevano contribuito nei passati 18 mesi all’elaborazione delle risposte alla dichiarazione di Laeken, si ritennero comunque soddisfatti dell’impresa compiuta. In primis il Presidente della Convenzione Valéry Giscard d’Estaing, ben consapevole di essersi misurato in un esercizio di astuta ed equilibrata diplomazia e capacità di direzione politica dei lavori. Viste le premesse (non scordiamoci di Nizza), pochi erano in grado di prevederne l’esito. La composizione della plenaria in sé lasciava prefigurare scenari impegnativi: trovare un punto di accordo tra le istanze delle rappresentanze governative di 28 Paesi, con le componenti parlamentari nazionali ed europea, insieme alla delegazione della Commissione, non era un compito semplice da eseguire. Eppure la storia è ormai ben nota: seppur con un leggero ritardo, grazie ad una sapiente regia dei lavori in plenaria delle ultime settimane ed una più serrata consultazione delle differenti componenti, il Praesidium riuscì attraverso l’articolato metodo del consenso a portare a termine il suo mandato con un risultato concreto e tangibile.

Sono trascorsi quindici mesi da quando la bozza è passata dalle mani dei convenzionali-costituenti a quelle dei Capi di Stato e di governo e ai loro uffici diplomatici. In questo lasso di tempo il codice genetico della neonata bozza ha subito delle leggere modifiche funzionali a soddisfare ulteriormente i desiderata delle cancellerie dell’Europa allargata.

Dall’apertura della Conferenza intergovernativa sotto la Presidenza italiana, queste non avevano esitato ad enfatizzare le loro riserve fino alla conclusione della Presidenza irlandese che ha finalmente adottato il testo.

Con la decisione del Consiglio europeo nel giugno 2004 e la storica firma del Trattato costituzionale da parte dei venticinque Capi di Stato e di governo nella cornice romana del Campidoglio, si compie finalmente l’ultimo passaggio di consegne al popolo sovrano. I 455 milioni di cittadini europei avranno nei prossimi due anni la possibilità di approvare o rifiutare la Costituzione. I 25 Stati membri sono infatti chiamati, chi attraverso ratifiche parlamentari, chi utilizzando il metodo referendario, a decidere entro il 2007 quale sarà l’effettivo risultato di questo ampio e complesso processo politico iniziato con il vertice di Laeken nel dicembre 2001. In questi giorni è importante sottolineare che i cittadini europei, attraverso i movimenti e le associazioni della società civile, hanno partecipato al dibattito sul futuro dell’Europa arricchendo di spunti e proposte le fasi di elaborazione del progetto in seno alla Convenzione.

Sicuramente durante i primi sei mesi dei lavori, nella cosiddetta fase d’ascolto, ma anche nel corso del successivo anno, ognuno di noi, sia a titolo personale che a nome di associazioni non governative e movimenti associativi attivi nel quadro europeo, ha avuto la possibilità di accedere a tutta la documentazione della Convenzione e quindi di contribuire con le proprie idee e riflessioni al processo costituente.

Da un punto di vista sia formale che sostanziale, questo modello di partecipazione aperta e trasparente è da considerare come una delle più importanti innovazioni nella storia dell’integrazione europea. Il metodo della Convenzione fa apparire vecchio e obsoleto il classico metodo intergovernativo.

La volontà di rendere questa esperienza una pratica quotidiana nel futuro dell’Unione europea è evidente nello stesso Trattato costituzionale. Infatti la prima parte al titolo VI (La vita democratica dell’Unione), introduce il principio della democrazia partecipativa come elemento di significativa complementarietà a quello della democrazia rappresentativa. Inoltre, con particolari procedure, è istituito il metodo della Convenzione per le future revisioni della Costituzione.

La generazione che vivrà una vera cittadinanza europea attiva, segnando le tappe future del processo di unificazione, è sicuramente quella dei 70 milioni di giovani europei che vivono nell’Unione.

In loro rappresentanza il Praesidium della Convenzione volle istituire, al termine della fase d’ascolto nel luglio del 2002, una Convenzione europea dei giovani, composta da 210 ragazze e ragazzi tra i 18 ed i 25 anni, selezionati direttamente da tutti i convenzionali, titolari e supplenti.

Chi scrive ebbe l’onore di presiederne i lavori e di partecipare alle successive riunioni plenarie in qualità di osservatore.

I giovani che si riunirono sotto quegli auspici, avevano idee molto chiare circa il futuro dell’Europa. Al termine delle discussioni che animarono vivacemente il clima solitamente compassato del Parlamento europeo di Bruxelles, un documento fu approvato a maggioranza e presentato in plenaria alla presenza di Giscard. In quelle poche pagine (consultabili nel sito ufficiale della Convenzione) si concentrarono le nostre proposte in materia di politica estera, di riforme istituzionali e relativi processi decisionali, ispirate ad una maggiore trasparenza, efficacia e partecipazione democratica. Pur avendo idee politiche diverse, in quelle giornate di luglio noi 210 ragazzi e ragazze della Convenzione europea dei giovani, abbiamo dimostrato che la nuova generazione di europei è pronta più delle precedenti a condividere il proprio futuro nell’Unione attraverso istituzioni europee forti e democratiche.

Il presupposto della nostra decisione è disarmante nella sua ovvietà, eppure continua a trovare resistenze sia in alcuni governi europei che in larghi settori della pubblica opinione.

La scelta di conferire un maggior numero di poteri alle istituzioni democratiche europee quali il Parlamento europeo e di insistere sull’abolizione del diritto di veto dei singoli Stati membri nelle decisioni riguardanti la politica estera e di sicurezza, sono chiari esempi di quanto le nuove generazioni non credano più nella capacità delle amministrazioni degli Stati europei (e non solo) di saper rispondere adeguatamente alle sfide che la realtà del mondo ci chiama ad affrontare.

Correndo il consapevole rischio di apparire eccessivamente disincantati, quando Valéry Giscard d’Estaing all’apertura della Convenzione europea dei giovani ci invitò a contribuire al dibattito sul futuro dell’Europa con la carica della “verde gioventù”, la nostra risposta non fu solo frutto di energie creative, ma anche della semplice constatazione che l’Europa non è una delle alternative possibili, ma è l’unica strada perseguibile per un futuro sviluppo equilibrato e sostenibile del nostro continente e del nostro pianeta.

 

*Presidente del Forum europeo della gioventù.

 

 


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