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La violenza nel Cinema |
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Nasce intorno alla metà degli
anni sessanta, si diffonde e si afferma nei settanta. È una presenza costante
che non passa certo inosservata. Ogni fine secolo ha la propria crisi di
valori: quella del Novecento è rappresentata al meglio da uno dei mali peggiori
della società. Un male che si è fatto sentire fin dagli albori dell’umanità, e
che ora sembra si stia specializzando sempre più. Un male che, da un trentina
d’anni appunto, dalla realtà, è passato a pervadere e caratterizzare anche la
finzione. È la violenza. Violenza filmica, per il caso che qui ci
riguarda. Questo mezzo di comunicazione visiva ed emotiva, tra i più efficaci e
di sicuro impatto, ha intrapreso una sfolgorante e promettente carriera sugli
schermi cinematografici di tutto il mondo. È certamente lecito, a questo punto,
domandarsi perché una forma di comunicazione tanto cruda e spietata non possa
ormai essere più evitata al cinema. Non è difficile comprendere la causa di
ciò. La motivazione è semplice ed è più
che evidente agli occhi di chiunque comprenda che il cinema è spettacolo, non
trasposizione di una rosea quanto utopica realtà. La settima arte ci offre una
dimensione alternativa nella quale la violenza è protagonista, il più delle
volte in primissimo piano. E fa colpo sullo spettatore, senza dubbio, e per una
ragione precisa: può essere interpretata come meglio si crede e può divenire un
indispensabile strumento in grado di soddisfare le più svariate esigenze di
sfogo e desiderio di giustizia ignorati e soffocati, per ovvie ragioni di
convivenza civile, dalla società, e così ben rappresentate dai “giustizieri”
cinematografici. Le pellicole moderne abbondano
di effetti speciali e immagini forti, proponendo uno stile di spettacolo che ha
conquistato in maniera definitiva il pubblico. Questo è più che evidente nel
trionfo di pellicole di d’azione e fantascienza come Rambo, Atto di forza, Arma letale, in capolavori del cinema epico
come Breverheart, oppure, in tempi più recenti, nel visionario e ultraviolento Fight Club. Si tratta di film nei quali la
violenza è protagonista al fianco degli attori. È facile per gli spettatori
identificarsi con i protagonisti di queste storie mai scontate e perennemente
sospese tra le opposte possibilità dell’eroismo da una parte e
dell’anti-eroismo dall’altra. Tornando agli anni settanta, e quindi al periodo
d’oro delle pellicole “violente”, non possiamo non citare la serie di film
dedicata all’Ispettore Callaghan,
interpretata da Clint Eastwood, il quale ha incarnato meglio di chiunque altro
l’immagine del poliziotto in continua lotta con le istituzioni corrotte, alla
disperata ricerca della vera giustizia. La violenza diviene, in casi
come questo, uno strumento indispensabile per difendersi e per difendere, allo
stesso modo del selvaggio West, mirabilmente rappresentato sul grande schermo
da pellicole come: Per un pugno di
dollari, Per qualche dollaro in più, Il buono, il brutto, il cattivo, i tre
capolavori western di Sergio Leone passati alla storia come “la trilogia del
dollaro”; o ancora da Gli spietati,
splendido western crepuscolare diretto e interpretato da Clint Eastwood nel
1992 e vincitore di quattro premi oscar. Risulta infine evidente come la
violenza, esasperata o misurata, regali carisma ai divi. E conferisca, ed è impossibile
negarlo, una marcia in più al film nella lotta senza esclusione di colpi al
botteghino.
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