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La violenza nel Cinema
“il cinema è spettacolo, non trasposizione di una rosea quanto utopica realtà”

  
di Daniela ESTRAFALLACES

LA VIOLENZA NEL CINEMA

Nasce intorno alla metà degli anni sessanta, si diffonde e si afferma nei settanta. È una presenza costante che non passa certo inosservata. Ogni fine secolo ha la propria crisi di valori: quella del Novecento è rappresentata al meglio da uno dei mali peggiori della società. Un male che si è fatto sentire fin dagli albori dell’umanità, e che ora sembra si stia specializzando sempre più. Un male che, da un trentina d’anni appunto, dalla realtà, è passato a pervadere e caratterizzare anche la finzione.

È la violenza. Violenza filmica, per il caso che qui ci riguarda. Questo mezzo di comunicazione visiva ed emotiva, tra i più efficaci e di sicuro impatto, ha intrapreso una sfolgorante e promettente carriera sugli schermi cinematografici di tutto il mondo. È certamente lecito, a questo punto, domandarsi perché una forma di comunicazione tanto cruda e spietata non possa ormai essere più evitata al cinema. Non è difficile comprendere la causa di ciò. La motivazione è semplice ed è  più che evidente agli occhi di chiunque comprenda che il cinema è spettacolo, non trasposizione di una rosea quanto utopica realtà.

La settima arte ci offre una dimensione alternativa nella quale la violenza è protagonista, il più delle volte in primissimo piano. E fa colpo sullo spettatore, senza dubbio, e per una ragione precisa: può essere interpretata come meglio si crede e può divenire un indispensabile strumento in grado di soddisfare le più svariate esigenze di sfogo e desiderio di giustizia ignorati e soffocati, per ovvie ragioni di convivenza civile, dalla società, e così ben rappresentate dai “giustizieri” cinematografici.

Le pellicole moderne abbondano di effetti speciali e immagini forti, proponendo uno stile di spettacolo che ha conquistato in maniera definitiva il pubblico. Questo è più che evidente nel trionfo di pellicole di d’azione e fantascienza come Rambo, Atto di forza, Arma letale, in capolavori del cinema epico come Breverheart, oppure, in tempi più recenti, nel visionario e ultraviolento Fight Club.

Si tratta di film nei quali la violenza è protagonista al fianco degli attori. È facile per gli spettatori identificarsi con i protagonisti di queste storie mai scontate e perennemente sospese tra le opposte possibilità dell’eroismo da una parte e dell’anti-eroismo dall’altra. Tornando agli anni settanta, e quindi al periodo d’oro delle pellicole “violente”, non possiamo non citare la serie di film dedicata all’Ispettore Callaghan, interpretata da Clint Eastwood, il quale ha incarnato meglio di chiunque altro l’immagine del poliziotto in continua lotta con le istituzioni corrotte, alla disperata ricerca della vera giustizia.

La violenza diviene, in casi come questo, uno strumento indispensabile per difendersi e per difendere, allo stesso modo del selvaggio West, mirabilmente rappresentato sul grande schermo da pellicole come: Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più, Il buono, il brutto, il cattivo, i tre capolavori western di Sergio Leone passati alla storia come “la trilogia del dollaro”; o ancora da Gli spietati, splendido western crepuscolare diretto e interpretato da Clint Eastwood nel 1992 e vincitore di quattro premi oscar.

Risulta infine evidente come la violenza, esasperata o misurata, regali carisma ai divi. E conferisca, ed è impossibile negarlo, una marcia in più al film nella lotta senza esclusione di colpi al botteghino.

 

 

 

 


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