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L'Italia che verrà |
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Forse mai come
in questi tempi la politica italiana vive una intensa stagione di confronto e
di incontro, di scontro e di aggregazione, di fermento programmatico, di
ricerca dei mezzi per lo sviluppo, di lancio di nuovi progetti per costruire un
ennesimo futuro. Forse mai come oggi la politica italiana è al centro del
dibattito quotidiano: sui mezzi di informazione, nel mondo del lavoro,
dell’impresa, in quello della scuola e della sanità, nella società nel suo
complesso. Ed è dei giorni scorsi l’ennesima analisi del settimanale inglese Economist sul sistema Italia, sulla
salute dell’economia italiana, sulle aspettative della politica, sulle cose
realizzate, su quelle promesse, su quelle mai avviate, sullo sfondo culturale e
sociale che determina le scelte della politica, sulle rivoluzioni annunciate ma
mai seriamente e convintamene portate a compimento, sul governo Berlusconi, sul
lavoro svolto dalla maggioranza in questi ultimi cinque anni, ma anche sulle
aspettative di un ipotetico futuro governo Prodi e sulla sua reale capacità di
cambiamento. Un’analisi
estremamente documentata che ha diviso nuovamente la classe politica, che ha
sollevato critiche questa volta da entrambi gli schieramenti. Una politica
dunque che non si ferma ma che marcia spedita soprattutto oggi, alla scadenza
naturale della legislatura e alla vigilia di elezioni politiche che si
preannunciano veramente decisive. Per molti motivi indubbiamente, per ciò che
da sempre significano le elezioni ed i risultati che ne derivano. Ma questa
volta per qualcosa di ancora più importante perché sono in ballo molte cose: il
futuro assetto politico dell’Italia, la nuova gestione del potere, gli
equilibri dei partiti, l’economia reale, il disegno sociale e culturale, la
nuova etica del Paese. È in gioco insomma la fisionomia dell’Italia che verrà.
Perché oggi è chiaro che si contrappongono due scuole ideali diverse, due mondi
culturali, due visioni della società, che in questi anni hanno indubbiamente
accentuato le loro differenze, che hanno rimarcato la loro identità. Saranno
elezioni importanti per tutti. Sarà un risultato decisivo per Silvio
Berlusconi, per l’uomo politico principalmente, per tutto quello che ha
significato nel corso di questi anni la sua discesa nell’agone politico, per la
sua figura di leader di un partito nato dal nulla, per l’uomo dell’impresa che
ha voluto portare la sua formazione di derivazione dal mondo del lavoro nei
palazzi di Roma, nelle stanze del potere contrapponendola così, in maniera a
volte troppo acuta, a quella dei cosiddetti funzionari di partito, al mondo
politico tout court fatto di mediazioni, di regole istituzionali, di
tradizione, di apparati, di convenzioni, di forti idealità, di movimento
sull’asse del mandato elettorale. Trovando in questo un ottimo compagno di
strada nel pragmatismo e nel realismo a volte esagerato e provocatorio dei
leghisti di Umberto Bossi. Ed ancora elezioni importanti per il destino di
tutto un centro politico che oggi è ancor di più in fibrillazione ed al bivio
del non ritorno: verso la trasformazione in un Partito Popolare di ispirazione
europea, se vincitore risulterà Berlusconi, oppure verso una nuova
disgregazione finalizzata ad una rifondazione che vedrà riunirsi tutti gli
eredi della Democrazia Cristiana nel caso della vittoria di Prodi. Un centro
che pagherà così, in un modo o nell’altro un prezzo politico altissimo. Elezioni
importanti anche per il centrosinistra e dal cui esito capiremo se nascerà
veramente il Partito Democratico che riunirà le forze del riformismo
socialista, popolare e cattolico per un progetto politico non solo italiano o
se si acuirà un radicalismo antiamericano, smaccatamente laicista ed
anticlericale. Ed ancora se invece saremo costretti ad una parità politica ed
alla eventualità di una grande coalizione come insegna la recente esperienza
tedesca. Verrà guardata con più attenzione e senza condizionamenti la politica
del centrodestra e si riuscirà a guardare con occhi più sereni la sua
complessiva azione di governo, la portata delle sue numerose riforme,
l’incisività delle trasformazioni a volte anche dolorose attuate, oppure
prevarranno i dubbi e le perplessità del vecchio tema del conflitto di
interesse, i giudizi sulle cosiddette leggi ad personam. Prevarrà quella
forma di rifiuto quasi antropologico del berlusconismo o si sarà pronti ad
accettare un nuovo contratto elettorale di programma, a rilanciare la scommessa
del cambiamento liberale? Vinceranno le ragioni della moderazione e della
riflessione politica o quelle del cambiamento radicale, vinceranno le
motivazioni economiche contingenti o la scelta di campo sarà più ideale, più
politica? Quale sarà l’importanza che verrà riservata al delicatissimo nodo del
rapporto con il mondo cattolico, con la Chiesa dottrinale e con le sue
richieste in tema di matrimoni gay, di PACS, di fecondazione assistita, di
scuole private, di pillola abortiva, di applicazione della legge 194, di
impiego dei volontari per la vita, di politica per le famiglie regolari? Avremo
dunque una nuova questione cattolica? Quale sarà il disegno strategico nei
rapporti con l’Europa, con il mondo occidentale, con l’America? Quale enfasi
avrà il tema dell’identità occidentale, il problema dell’immigrazione, il
multiculturalismo, il disegno futuro delle città europee, l’allargamento
dell’Europa stessa? Vinceranno allora i temi economici e finanziari, gli
interessi delle categorie, delle nuove corporazioni, vinceranno le paure
economiche nella speranza di un cambiamento che dia velocità all’Italia o verrà
guardata nella sua complessità l’offerta politica e dunque più oculata
risulterà la scelta di campo? Da questo snodo nascerà l’Italia che verrà e
dalla chiarezza del mondo politico ripartirà l’Italia del domani.
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