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Non ci sono più alibi
  
di Francesco CACCETTA

Non ci sono più alibi

Dopo le primarie del Partito Democratico, dopo la prevedibile elezione plebiscitaria di Walter Veltroni, dopo il 14 Ottobre, non ci sono più alibi per il governo Prodi, per il centrosinistra nella sua interezza e per molti versi, in maniera speculare, anche per il centrodestra. Tolte dunque le schermaglie dialettiche che hanno caratterizzato questi mesi di avvicinamento alla realizzazione ed al varo del Partito Democratico, tolte le argomentazioni e le rincorse cerebrali sul numero, vero o gonfiato che sia, di partecipanti al voto, sulla reale portata del confronto politico e programmatico all’interno di una lunga competizione delle primarie, sulla consistenza dei candidati, sulla spartizione delle segreterie regionali e su tutto quello che c’è stato dietro la nascita di un nuovo partito in senso numerico ma anche di un partito nuovo nel modo in cui è stato ideato, progettato e fattivamente realizzato, è tempo di chiarezza e soprattutto di concretezza.

Tolti allora gli inevitabili contraccolpi e le necessarie fasi di aggiustamento che ne sono derivate, con il distinguo politico e l’allontanamento da un lato dei moderati di centro, primi fra tutti Dini e Fisichella, e dall’altro con la nascita della Cosa Rossa, di una sinistra democratica, socialista ed europea. Tolto tutto questo articolato castello di avvenimenti e di parole, di protagonisti e di sogni, di incontri e di slogan, di progetti e di programmi, rimane come sempre ed inevitabilmente il grosso del problema, la domanda ultima ed ineludibile, il nocciolo duro e reale della questione al centro della nostra attenzione: la governabilità del Paese, la ricerca di una guida sicura, forte e ben salda nelle mani di un establishment, di un governo, sganciato finalmente dai venti del personalismo, dell’egoismo e del cinismo politico, dai veti e dalla ostinata ricerca di visibilità, dalla transumanza continua in un senso e nell’altro.

Rimane, in altre parole, da definire il destino ed il futuro di una Prima Repubblica forse mai morta o di una Seconda Repubblica già defunta. Una questione che potrebbe risultare tediosa ma che purtroppo non lo è proprio per la storia recente dell’Italia, per le vicissitudini che oggi sembrano quotidiane, per la mancanza di equilibrio e di saggezza che le Istituzioni richiedono, che la contingenza sociale ed economica impone. Rimane la litigiosità continua, il distinguo perfezionato all’ultima sillaba, il gioco spudorato di gruppi di ogni genere e di ogni provenienza, la richiesta sempre più pressante di interessi personali o di categoria, l’imboscata nelle votazioni. Rimane l’affanno per la ricerca di una via per il futuro. Non una ricerca del Vello d’oro o del Santo Graal, inseguendo un’utopia od un sogno onirico, ma la ricerca concreta e ponderata di una via di maturità non solo di tutta una classe dirigente ma di ampi settori di una società che oggi mostra ampie difficoltà e che deve ritrovare le ragioni profonde di comunità e di appartenenza. Una via nuova dunque che porti ad un senso di responsabilità per tutti e per ognuno singolarmente.

Perché è impensabile continuare ad assistere ad un avanspettacolo politico di basso livello, ad un teatrino pieno di personaggi che da troppo tempo sfiorano il ridicolo ma che sono sempre lì a dettare legge, ad occupare spazi ed ambiti decisionali, a proclamarsi ogni giorno nuovi rispetto al passato, sempre più nuovi, sempre più trasformabili ed adattabili ad ogni circostanza e ad ogni tempo. Un senso di responsabilità che vuol dire innanzitutto onestà a tutti i livelli, quell’onestà profonda di dichiarare ciò che si vuole fare e soprattutto con chi, con quali mezzi, con quali uomini, con quali tempi. Ciò che si vuole per il bene del Paese al di là di vecchi stereotipi di acquisizione del consenso e del mantenimento del potere, senza nascondersi con troppa facilità dietro le alchimie di leggi elettorali che non saranno mai perfette ma solo funzionali per qualcuno.

Non ci sono dunque più alibi per il centrosinistra, per il governo, per Prodi, per il Partito Democratico, per Walter Veltroni. Da Milano , dall’Assemblea Costituente, deve risultare chiaro il programma del futuro, le scelte strategiche, le alleanze, gli uomini, poiché non è possibile continuare a dare ragioni a tutto ed a tutti, ad imbonire, con mielato e suadente modo di fare, tutte le categorie sociali, tutti gli attori economici. Perché non è possibile incantare od illudere. Ed è lo stesso alibi che non basta più nemmeno per il centrodestra, per Berlusconi, per Fini, per Casini o per Bossi. Dicano la loro con netta chiarezza se vogliono il governo del domani, se vogliono dimostrare il cambiamento, se non vogliono incorrere nel de ja vu. Questo è il pieno diritto dei cittadini e di uno Stato. Concretezza, chiarezza, serietà ed onestà, assunzione piena di responsabilità che chiedono ogni giorno soprattutto quei tanti cittadini che non amano le fantasticherie, le dietrologie, gli inutili, odiosi e laceranti processi, che non amano le alchimie, gli azzardi ed i giochetti. Perché per alcuni di loro il mese non dura i fatidici trenta o trentuno giorni. Per loro il tempo economico e finanziario della famiglia si ferma drammaticamente prima. E non ci sono parole, sorrisi o primarie che tengano, perché i pochi settecento euro mensili di pensione sono già finiti da un pezzo.  Per loro gli alibi per mantenere la famiglia non esistono più.  

 

 

 


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