|
|
Non ci sono più alibi |
|
Dopo le primarie del Partito
Democratico, dopo la prevedibile elezione plebiscitaria di Walter Veltroni,
dopo il 14 Ottobre, non ci sono più alibi per il governo Prodi, per il
centrosinistra nella sua interezza e per molti versi, in maniera speculare,
anche per il centrodestra. Tolte dunque le schermaglie dialettiche che hanno
caratterizzato questi mesi di avvicinamento alla realizzazione ed al varo del
Partito Democratico, tolte le argomentazioni e le rincorse cerebrali sul
numero, vero o gonfiato che sia, di partecipanti al voto, sulla reale portata
del confronto politico e programmatico all’interno di una lunga competizione
delle primarie, sulla consistenza dei candidati, sulla spartizione delle
segreterie regionali e su tutto quello che c’è stato dietro la nascita di un
nuovo partito in senso numerico ma anche di un partito nuovo nel modo in cui è
stato ideato, progettato e fattivamente realizzato, è tempo di chiarezza e
soprattutto di concretezza. Tolti allora gli inevitabili
contraccolpi e le necessarie fasi di aggiustamento che ne sono derivate, con il
distinguo politico e l’allontanamento da un lato dei moderati di centro, primi
fra tutti Dini e Fisichella, e dall’altro con la nascita della Cosa Rossa, di
una sinistra democratica, socialista ed europea. Tolto tutto questo articolato
castello di avvenimenti e di parole, di protagonisti e di sogni, di incontri e
di slogan, di progetti e di programmi, rimane come sempre ed inevitabilmente il
grosso del problema, la domanda ultima ed ineludibile, il nocciolo duro e reale
della questione al centro della nostra attenzione: la governabilità del Paese,
la ricerca di una guida sicura, forte e ben salda nelle mani di un
establishment, di un governo, sganciato finalmente dai venti del personalismo,
dell’egoismo e del cinismo politico, dai veti e dalla ostinata ricerca di
visibilità, dalla transumanza continua in un senso e nell’altro. Rimane, in altre parole, da
definire il destino ed il futuro di una Prima Repubblica forse mai morta o di
una Seconda Repubblica già defunta. Una questione che potrebbe risultare
tediosa ma che purtroppo non lo è proprio per la storia recente dell’Italia,
per le vicissitudini che oggi sembrano quotidiane, per la mancanza di
equilibrio e di saggezza che le Istituzioni richiedono, che la contingenza
sociale ed economica impone. Rimane la litigiosità continua, il distinguo
perfezionato all’ultima sillaba, il gioco spudorato di gruppi di ogni genere e
di ogni provenienza, la richiesta sempre più pressante di interessi personali o
di categoria, l’imboscata nelle votazioni. Rimane l’affanno per la ricerca di
una via per il futuro. Non una ricerca del Vello d’oro o del Santo Graal,
inseguendo un’utopia od un sogno onirico, ma la ricerca concreta e ponderata di
una via di maturità non solo di tutta una classe dirigente ma di ampi settori
di una società che oggi mostra ampie difficoltà e che deve ritrovare le ragioni
profonde di comunità e di appartenenza. Una via nuova dunque che porti ad un
senso di responsabilità per tutti e per ognuno singolarmente. Perché è impensabile continuare
ad assistere ad un avanspettacolo politico di basso livello, ad un teatrino
pieno di personaggi che da troppo tempo sfiorano il ridicolo ma che sono sempre
lì a dettare legge, ad occupare spazi ed ambiti decisionali, a proclamarsi ogni
giorno nuovi rispetto al passato, sempre più nuovi, sempre più trasformabili ed
adattabili ad ogni circostanza e ad ogni tempo. Un senso di responsabilità che
vuol dire innanzitutto onestà a tutti i livelli, quell’onestà profonda di
dichiarare ciò che si vuole fare e soprattutto con chi, con quali mezzi, con
quali uomini, con quali tempi. Ciò che si vuole per il bene del Paese al di là
di vecchi stereotipi di acquisizione del consenso e del mantenimento del
potere, senza nascondersi con troppa facilità dietro le alchimie di leggi
elettorali che non saranno mai perfette ma solo funzionali per qualcuno. Non ci sono dunque più alibi per
il centrosinistra, per il governo, per Prodi, per il Partito Democratico, per
Walter Veltroni. Da Milano , dall’Assemblea Costituente, deve risultare chiaro
il programma del futuro, le scelte strategiche, le alleanze, gli uomini, poiché
non è possibile continuare a dare ragioni a tutto ed a tutti, ad imbonire, con
mielato e suadente modo di fare, tutte le categorie sociali, tutti gli attori
economici. Perché non è possibile incantare od illudere. Ed è lo stesso alibi
che non basta più nemmeno per il centrodestra, per Berlusconi, per Fini, per
Casini o per Bossi. Dicano la loro con netta chiarezza se vogliono il governo
del domani, se vogliono dimostrare il cambiamento, se non vogliono incorrere
nel de ja vu. Questo è il pieno diritto dei cittadini e di uno Stato. Concretezza,
chiarezza, serietà ed onestà, assunzione piena di responsabilità che chiedono
ogni giorno soprattutto quei tanti cittadini che non amano le fantasticherie,
le dietrologie, gli inutili, odiosi e laceranti processi, che non amano le
alchimie, gli azzardi ed i giochetti. Perché per alcuni di loro il mese non
dura i fatidici trenta o trentuno giorni. Per loro il tempo economico e
finanziario della famiglia si ferma drammaticamente prima. E non ci sono
parole, sorrisi o primarie che tengano, perché i pochi settecento euro mensili
di pensione sono già finiti da un pezzo.
Per loro gli alibi per mantenere la famiglia non esistono più.
|
|
|