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Donne mitiche ed enigmatiche |
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Nella Sala San Tommaso in Campo
SS. Giovanni e Paolo, uno dei “campi” più belli di Venezia, all’ombra della
maestosa e severa statua equestre del Colleoni, sono esposti quattordici
dipinti ad olio, alcuni di grande formato, realizzati da Michela Marchiotti dal
2001 ad oggi e raccolti in una elegante mostra intitolata “Galleria Femminile”.
La pittrice, nata a Londra, diplomata al Liceo Artistico di Venezia sotto la
guida di Lucio Andrich e di Giovanni Barbisan, ha iniziato giovanissima la sua
carriera ottenendo diversi riconoscimenti ed esponendo, fin dagli anni
Settanta, le sue opere in importanti rassegne collettive (come, nel 1973, al
“Salon International de la Peinture, Sculpture, Art Libre” di Parigi) e mostre
personali in Italia ed in Europa; tra queste ricordiamo quelle al Casinò
Municipale di Sanremo (1974), all’Internationalen Tourismus Borse di Berlino
(1975), alla Galleria Cademi di Ascona (1977), alla Galleria La Proiezione di
Verona (1978), al Club Overseasleague di Londra (1978), alla Galleria Palladio
di Vicenza (1979), alla Galleria L’Alfiere di Padova (1980), alla Galleria
Traghetto 2 di Venezia (1986), alla Galleria Civica di Palazzo Festari a Valdagno
(2002), città in cui l’artista vive e lavora. Il percorso pittorico di Michela
Marchiotti partecipa di una condizione e di un’ansia in cui può riconoscersi
gran parte della pittura, o dell’arte più in generale, del nostro tempo, e cioè
di un’urgenza espressiva che da una parte, sospinta da un empito
antinaturalistico, rivendica un ruolo sempre più preminente alla immaginazione
come terreno e “luogo” di ispirazione, dall’altra si apre ecletticamente ad
ogni contaminazione capace di mettere in relazione mondi e culture diverse e di
creare nuove ed impensabili possibilità comunicative. Si tratta di due
direttici lungo le quali si svolge da vari anni la sua ricerca, che vede in
progressione il risolversi della “rappresentazione” nella “invenzione” insieme ad
un arricchimento continuo sia sul piano tematico che stilistico. La figura
femminile, sempre al centro dei suoi quadri, perde via via la sua collocazione
naturalistica, relativa a spazi e tempi reali, per essere trasferita in una
dimensione astorica e mitica; il volto, o anche una mano, oppure soltanto gli
occhi, vengono ad assumere sempre più una carica simbolica, ad esprimere una
concentrazione di messaggi. Ciò viene realizzato, specie
nella produzione più recente, proiettando l’immagine della donna (sempre
bellissima, misteriosa, dal corpo flessuoso e lo sguardo enigmatico) in un
contesto irreale, caratterizzato da elementi immaginati, da un universo segnico
mutuato da culture remote e coniugato con le creazioni della fantasia, in una
situazione di irriducibile “dissociazione” tra reale ed immaginario, tra
vissuto e sognato. Lo sguardo (assorto, sorpreso, sognante) rimane l’unica
traccia di una figurazione realistica, che viene a contrapporsi dialetticamente
con gli altri elementi del quadro, creando nello stesso tempo un momento di
squilibrio e di sintesi – una specie di sistemazione delle forze in campo –
nell’unità formale dell’opera. Con il risultato di generare e
trasmettere un senso diffuso di malinconia, che riflette (la specularità degli
sguardi suggerisce l’idea di uno “specchiarsi” della pittrice nelle figure che
fissa sulla tela) una condizione esistenziale segnata dall’incapacità di
tradurre in schianti o in drammi le contraddizioni ed i contrasti e dalla
propensione invece a stemperare le angosce nella vaghezza ed in una sorta di
ambiguità. La costante delle immagini
create dalla Marchiotti appare quella di una ricerca estetica che lavora sul
frammento e sul particolare; ciò vale per le figure femminili così per le
nature morte e per gli altri soggetti a cui va aprendo il suo lavoro. La linea
curva, sinuosa, elegante, sviluppata in motivi naturalistici e sempre più
lontana dal geometrismo freddo delle sue precedenti opere, oltre al gusto per
l’arte orientale ed ad un’ostentata raffinatezza, tradiscono una spiccata
sensibilità per il Liberty. Ma a ben vedere si tratta di una sintonia che è da
ricondurre più ad una scelta che riguarda le valenze estetiche, la ricercatezza
grafica, la concezione di una funzione non meramente “decorativa” della decorazione,
piuttosto che un rituffarsi nei temi e nelle motivazioni di una cultura
storicamente delimitata. Da un’attenzione per gli stilemi del “floreale”
l’artista matura uno stile proprio, acquisendo una mano sicura e capace di dare
alle tele una impronta sempre più personale, di rendere essenziale l’elemento
decorativo. I suoi ultimi quadri, ispirati a
personaggi dell’antichità, a figure mitologiche e bibliche, a creazioni
letterarie o pittoriche, rivelano maggiore ariosità, un senso vivo di
movimento, una gamma più articolata di citazioni, una scelta attenta e
calibrata del colore. Vi compare l’oro e con l’oro il fascino, la grande forza
evocativa di un metallo che è calore, purezza, irresistibile seduzione.
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