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Castel del Monte. Il cammino verso la conoscenza

  
di Valentina VANTAGGIATO

CASTEL DEL MONTE

Adelmo era un giovane salentino mite. Dopo aver completato gli studi, partì dal suo piccolo paese di provincia perché desideroso di fare nuove esperienze e soprattutto spinto da una bramosa sete di conoscenza. Iniziò a girovagare, visitando numerose biblioteche, scuole e abbazie. Fu proprio nei “luoghi del sapere” che sentì parlare di Castel del Monte, fortezza fatta edificare da Federico II di Svevia sull’altopiano di Andria. Fu a quel punto che tutti i suoi sensi vibrarono all’unisono e una forza incontenibile lo spinse verso quei territori carichi di verità celate. Era il 1249.

Dopo diversi giorni di cammino, il ragazzo capì che la sua vita avrebbe subìto uno scossone quando, in lontananza, su un’altura verdeggiante, vide ergersi maestoso e geometricamente perfetto il castello federiciano, in contrasto con le linee morbide della natura circostante. La struttura si elevava verso il cielo fino quasi a sfiorarlo, ma era saldamente ancorata alla terra. Adelmo ebbe l’impressione che ciò che avrebbe appreso fra quelle spesse mura, lo avrebbe avvicinato al mondo dell’assoluto e allontanato dalla materialità terrestre.

Quasi intimidito da tanta perfezione, Adelmo si avvicinò alla fortezza a pianta ottagonale che presentava otto torri sempre ottagonali. Si chiese il perché dell’uso ricorrente del numero otto e si ricordò di aver letto che tale cifra aveva da sempre caratterizzato il sovrano svevo nella sua vita: a pianta ottagonale era la Cappella di Aquisgrana nella quale fu incoronato re dei romani, di forma ottagonale era il lampadario che pendeva sulla sua testa il giorno dell’incoronazione, ottagonale era la corona che lo rappresentava. Il giovane si sforzò di rammentare quale significato simbolico avesse la figura dell’ottagono, e gli ritornarono in mente le fonti battesimali presenti nelle chiese salentine, tutte di tale forma. L’ottagono, infatti, rappresenta l’uomo, il punto di contatto tra il cerchio, Dio, e il quadrato, la Terra. L’uomo, attraverso il Battesimo, si purifica e diviene figlio di Dio. E gli sovvenne anche di quando, in tenera età, il nonno materno lo portava con sé alle fiere nei villaggi della Grecìa Salentina, a quando alzava gli occhi per ammirare i campanili che suonavano a festa. Anch’essi erano caratterizzati dalle tre forme, il quadrato prima, l’ottagono e il cerchio poi.

Quando, successivamente, egli posò gli occhi sul maestoso portale d’accesso al castello, un’espressione di sincera ammirazione gli segnò il viso ancora sudato per l’insidiosa salita. Non fu difficile per Adelmo, dato che aveva studiato per anni gli scritti di Pitagora, sovrapporre immaginariamente alla facciata una stella a cinque punte, che avrebbe stabilito tutte le proporzioni del portale stesso. All’interno di essa si poteva collocare il corpo umano. Dividendo il lato lungo del triangolo isoscele che sovrastava la grande porta, per il lato corto, si sarebbe ottenuto 1,618, come aveva letto. Tale numero, chiamato “di Fibonacci” dal nome del matematico che lo scoprì, è ricorrente in natura e non solo. La facciata di Castel del Monte, pensò il giovane, non è altro che la rappresentazione dell’uomo che inizia il suo viaggio verso la suprema conoscenza.

Il perimetro esterno della fortezza misurava 111 cubiti. Il cubito, numero sacro per gli antichi egizi, fu anche utilizzato per costruire il Tempio di Salomone a Gerusalemme, dove il sovrano svevo si recò nella sesta crociata. Qui strinse rapporti di amicizia con il sultano Al Kamir, scatenando l’ira di molti, soprattutto dei Templari, cavalieri che avevano il compito di sorvegliare e difendere le vie di pellegrinaggio e il Santo Sepolcro, ma altresì di lottare contro gli infedeli. Era noto che Federico avesse da sempre perseguitato i monaci cavallereschi ma, secondo alcune voci, i Cavalieri del Tempio avrebbero fornito al sovrano i fondi necessari per la costruzione di Castel del Monte, viste le finanze dissestate della corona. Ragion per cui Adelmo era quasi certo di trovare, all’interno della fortezza, delle tracce lasciate dai Templari.

Assorto nei suoi pensieri, il giovane salentino sussultò quando una mano gli toccò la spalla destra. Era il guardiano del castello che lo invitò ad entrare. Il ragazzo lo seguì senza indugiare, mentre il sole era quasi a mezzogiorno. Una volta entrato, si ritrovò solo perché quell’uomo sparì nell’oscurità. Infatti Adelmo si rese conto che l’ambiente era molto tenebroso, illuminato solo da qualche fiaccola. Era un pò intimorito, non sapeva cosa avrebbe trovato e in realtà non era neanche sicuro del perché fosse lì, ma non se ne preoccupò più di tanto. Nel piano inferiore del castello prevaleva l’elemento dionisiaco, la parte bassa e scura dell’uomo, quella che bisognava lasciarsi alle spalle per poter raggiungere la verità. Un passo dopo l’altro e attraversò le prime due stanze, entrambe a forma trapezoidale, proprio come tutte le altre. I marmi rossi risplendevano alla luce, seppur fioca, dei ceri. Il rosso rappresentava il fuoco, l’amore, le passioni, la lotta per la vita, la fiamma dello Spirito Santo, ma anche gli inferi. Il giovane era in preda ad emozioni contrastanti. Si sentiva disorientato, ma al tempo stesso curioso e affascinato da ciò che lo circondava. Sentiva delle voci lontane, ma non sapeva da dove provenissero, perché intorno a sé non c’era anima viva.

Il percorso era obbligato. Adelmo varcò una porta e si ritrovò nel cortile centrale. Anch’esso a pianta ottagonale, aveva al centro una vasca sempre della medesima forma, rappresentante la purificazione dell’individuo che stava avvenendo nel cammino. Il giovane rientrò nella struttura da un altro accesso e visitò le sale successive del piano terra. Ciascuna, sulla volta, presentava tre costoloni che convergevano in un unico punto dove c’era un simbolo. Adelmo non seppe decifrarli tutti, ma molti di essi rappresentavano dei fiori con otto petali. Ancora otto.

Il ragazzo si ritrovò davanti alle scale e si sorprese quando vide che salivano verso sinistra, e non verso destra, com’era consuetudine nelle roccaforti difensive. Le voci che vogliono Castel del Monte come un tempio laico e scuola, e non come un castello difensivo, sono vere, pensò, vista anche l’assenza di prigioni, del fossato e di altri elementi tipici di tali fortezze. Nella salita contò i gradini: erano 44, la cui somma dà otto. Sollevato lo sguardo osservò, sulla volta, sei telamoni che sorreggevano il soffitto. Tre vecchi (ciò che è stato), tre giovani (ciò che sarà); tre guardavano su (futuro), tre giù (passato); tre avevano le gambe chiuse (sterilità), tre aperte (fecondità).

Il giovane salentino entrò nella prima sala del piano superiore e fu accecato da una luce vivida. I suoi occhi avevano brancolato nel buio fino a quel momento e certo non si aspettava di trovarsi di fronte a tanto splendore. Sono vicino alla conoscenza, si disse, e procedette cauto. In questo piano, l’ultimo della fortezza, prevaleva l’elemento apollineo, simboleggiante la ragione, la luce, il sapere. Numerosi giovani si aggiravano per quelle stanze, tutti intenti a consultare pergamene ingiallite. Nell’aria c’era un odore acre. Nessuno si curò di lui, ed egli procedette indisturbato per la sua strada. Ogni camera aveva delle ampie finestre che si affacciavano talune sul cortile centrale, altre verso l’esterno dell’edificio. Tutt’intorno scorrevano dei sedili di pietra e alcune stanze erano dotate di camini. Adelmo avanzava lento e si ritrovò in una sala dove si stava svolgendo una sorta di cerimonia magica. Un uomo anziano, accostato al camino, spiegava agli adepti che erano attorno a lui strane formule e maneggiava delle ampolle che contenevano dei liquidi inquietanti. Il ragazzo capì in breve tempo che in quel luogo si stavano svolgendo degli esperimenti d'alchimia, la scienza occulta diffusasi in Europa dal XII secolo, che pretendeva di trasmutare i metalli vili in oro. Adelmo era consapevole che tale scienza veniva praticata segretamente proprio perché ritenuta esoterica e non si meravigliò nello scoprire che il castello federiciano fosse usato per tale scopo, sapendo bene che Federico era un uomo dai mille interessi. Le scienze, anche quelle esoteriche, la matematica, l’astronomia erano le sue passioni e il suo sguardo andava oltre ogni possibile barriera, oltre i confini del suo vasto impero, oltre le religioni, oltre ogni divisione fra gli uomini.

Fra le altre cose Adelmo notò un particolare del mosaico pavimentale: due triangoli equilateri che si intersecavano. Il sigillo di Salomone, disse, che con il triangolo col vertice verso l’alto, vuole simboleggiare l’uomo, il fuoco e il sole; con il triangolo verso il basso, la donna, l’acqua e la luna.

Il ragazzo sentiva i brividi che gli trapassavano tutto il corpo e tentennava nel procedere, ma non si fermò, ritrovandosi nella stanza posta ad est, la “Sala del Trono”. A prima vista niente lo colpì in modo particolare, ma una forza irrefrenabile lo spinse ad avvicinarsi alla grande finestra che dava sulla corte. Davanti a sé, dall’altra parte della parete, scorse un bassorilievo illuminato da un raggio di sole, che rappresentava una donna greca che riceveva l’omaggio di alcuni cavalieri. Quella donna era Sophia, la Sapienza. Era l’8 aprile. Qualcuno gli spiegò più tardi che il sole illuminava direttamente Sophia solo due volte l’anno, l’8 aprile e l’8 ottobre: “Come il sole bacia Sophia nell’equinozio, Sophia bacia l’adepto ormai vicino alla conoscenza”. Adelmo era un adepto e se ne rese conto solo in quel momento. Guardò in alto, sulla volta, e lo vide…Baphomet, il simbolo dei Templari. Arcani pensieri gli balenarono nella testa, pensieri che lo portavano al mito del Santo Graal. Che Castel del Monte fosse stato costruito con lo scopo preciso di custodire la coppa di Gesù, nascosta dai Cavalieri del Tempio per secoli? Si chiese. Che la forma della fortezza fosse stata studiata in onore del Graal che aveva anch’esso, a dire di molti, la stessa forma? Federico II aveva cercato per anni la sacra coppa perché donava il potere, la Luce. Era forse questo il segreto di quel castello che sprigionava energia vitale da ogni sua pietra? Adelmo sapeva che, molto probabilmente, non avrebbe mai trovato risposte alle sue domande, ma non si perse d’animo e si accinse a scendere le scale che lo avrebbero ricondotto nella parte bassa della struttura. Sulla volta del torrione vide tre costoloni le cui estremità rappresentavano un uomo, una donna e un essere androgino, la fusione perfetta, secondo Platone, fra i due sessi. Quelle figure comunicarono all’iniziato che aveva raggiunto l’unione per eccellenza. Il suo viaggio nei misteri del sapere stava volgendo alla fine, non prima però di soffermarsi sul simbolo che caratterizzava la volta dell’ultima stanza al piano terra, dove egli era disceso. Un uomo dalle grandi orecchie lo fissava e Adelmo fissava lui, non riuscendone a capire il significato. Frattanto, alla sua destra, udì dei rumori e vide una luce fioca avanzare verso di sé. Era il guardiano che lo aveva accolto al suo arrivo. Vuoi sapere chi è, vero? Disse l’uomo. È Re Mida. Un’antica leggenda greca narra che egli fece da giudice in una gara di flauto fra il dio Apollo e il dio Pan. Aggiudicò la vittoria a Pan e Apollo, infuriato, gli fece crescere a dismisura le orecchie. Solo il suo barbiere conosceva tale segreto. Costui, desideroso di svelarlo a qualcuno e consapevole di non poterlo fare, scavò una buca nel terreno e vi gridò dentro “Re Mida ha le orecchie d’asino". Richiuse la buca sulla quale, dopo qualche tempo, crebbe una pianta di bambù che, attraversata dal vento, sibilava “Re Mida ha le orecchie d’asino”. Il giovane salentino, dopo che ebbe ascoltato attentamente il racconto, comprese ciò che il volto di pietra voleva comunicargli: la verità non deve essere svelata. La conoscenza suprema non è alla portata di tutti, ma solo di coloro che predispongono il loro cuore ad accoglierla. 

Era giunta la sera e Adelmo era molto stanco. Il giovane avrebbe passato la notte in un fienile poco lontano e poi sarebbe ripartito il giorno dopo alle prime luci dell’alba. Avrebbe continuato a peregrinare per l’Italia, ma con una forza in più che avrebbe guidato i suoi passi. In quegli anni anche Federico II lasciò questo mondo, e nel giorno della sua dipartita, aveva al dito un anello con uno smeraldo ottagonale. Era il 1250. Cosa si ottiene se si sommano queste cifre? 8…fino alla fine. 

Una storia reale o fantastica, questa? Le teorie sono tante, le certezze poche. L’energia sprigionata da Castel del Monte, tuttavia, è viva oggi come allora, nel XXI secolo come nel Medioevo. Altri Adelmi, avidi di “sapere”, compirono il cammino verso la conoscenza, ma il loro segreto a noi non è dato saperlo. Ricordate? La verità non deve essere svelata…

 

 


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