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Fatti e misfatti d'Italia, a che punto siamo!
  
di Francesco CACCETTA

Fatti e misfatti d’Italia: a che punto siamo

Al di là di quelle che possono essere le parole, le frasi ad effetto, gli slogan, le enfatizzazioni concettuali, che vengono utilizzate per marcare ed evidenziare il percorso politico, per ammonire ed indicare le strategie, gli obiettivi ed i risultati della propria parte politica, non vi è dubbio che nella agenda politica italiana molti nodi sono ancora da sciogliere, molti argomenti cruciali sono ancora all’ordine del giorno, molti aspetti devono ancora essere chiariti, molte insidie sono ancora presenti con un detonatore sempre pronto alla deflagrazione. Molta chiarezza deve essere ancora fatta.

Al di là di ciò che lasciano intravedere i meeting, le feste di partito, gli incontri ed i dibattiti che animano da sempre l’estate italiana, al di là del bilancio politico dei primi cento giorni di governo, rimangono infatti in tutta evidenza ed anzi vengono rafforzate alcune questioni di fondo che agitano, in maniera non certo indolore, la politica italiana e che rendono così sempre più intenso e preoccupante lo scontro ideale e dialettico fra le due componenti di questo nostro sempre più imperfetto e fragile bipolarismo. Uno scontro non certo indolore e scevro da ripercussioni negative per il Paese nella sua globalità, con un ouput che diventa frenante per la dinamicità che la politica può e deve dare.

Problemi attuali pressanti che derivano innanzitutto dal delicatissimo momento economico, dall’andamento del mercato italiano rispetto a quello europeo o mondiale, dagli impegni presi con i partner europei, dalle scelte che una finanziaria seria e lungimirante deve contenere, dalle insidie che provengono da un Medio Oriente a forte instabilità politica ed ancora insanguinato per i continui focolai terroristici esistenti in Afghanistan ed in Iraq, dal futuro di una fragilissima tregua nel conflitto israelo-libanese e dunque da una politica estera che impone scelte immediate in un contesto europeo e mondiale ancora non del tutto chiaro e definito. Ma anche quelli che derivano dal ristretto margine che il centro sinistra presenta al Senato per quella vittoria zoppa che ha contraddistinto le ultime elezioni e che di fatto rende più difficile il cammino legislativo della maggioranza con un fin troppo facile ricorso al voto di fiducia, con una estenuante ricerca del consenso su ogni singola disposizione parlamentare e di governo.

Problemi quotidiani, centrali e specifici verso i quali bisogna rispondere con la determinazione, il coraggio e la chiarezza dovuti. Di fronte ai quali si avverte pienamente il bisogno di indirizzi non solo programmatici ma eminentemente pratici ed operativi che provengano innanzitutto dall’area governativa ma che nel contempo offrano la possibilità all’opposizione di contrapporre le ragioni ed il modello alternativo, alimentando così una utile dialettica parlamentare e politica, fisiologica e proficua per tutti. Ma il panorama politico di questi mesi ripropone altre questioni che fino ad oggi non trovano soluzioni possibili sempre in balia di altalenanti accelerazioni e di improvvise decelerazioni. Problemi sollevati da più parti ed evidenziati a più riprese che riguardano la nazione intera ed il sistema politico nella sua interezza.

Ed in primo luogo allora la richiesta sempre più pressante del ritorno al dialogo, al riconoscimento reciproco che deriva dalle parole del Capo dello Stato. Un ritorno o forse l’avvio per la prima volta di un dialogo costruttivo, sano, senza infingimenti, chiaro, fra i leader, fra i partiti, fra governo ed opposizione, nel segno del rispetto reciproco e della piena legittimazione. Un dialogo necessario ed utile a maggior ragione dopo il dato elettorale che ha consegnato un Paese spaccato a metà, ma che non ha trovato fino ad oggi terreno fertile da un lato per la mancanza di un equilibrato coinvolgimento della minoranza nelle cariche istituzionali e per la dichiarata volontà di rigettare completamente gran parte del dettato legislativo che è derivato dalla passata stagione di governo del centro destra, dall’altro per il mancato riconoscimento da parte di Berlusconi della vittoria elettorale dei partiti dell’Unione. E gli inizi dei lavori parlamentari e governativi indirizzano verso questo percorso.

Basti  pensare alla immediata revisione della legge Moratti, alla messa in discussione della Legge Biagi sul lavoro, della Bossi Fini sull’immigrazione, della riforma della Giustizia, all’ipotesi di conferimento della cittadinanza italiana agli immigrati dopo cinque anni, alla revisione annunciata della legge Gasparri o quella sul conflitto d’interessi che è attualmente al centro del dibattito all’interno della maggioranza od ancora la possibilità di rivedere la legge sulla fecondazione assistita o le linee guida della legge 40. Temi politici che sono stati i pilastri su cui ha poggiato l’azione del precedente governo. Ma ancor di più le difficoltà che oggettivamente incontrano i principali e più significativi partiti di ambedue le coalizioni nel configurare la possibilità di dare vita finalmente a grandi contenitori che si riconoscano nelle più grandi famiglie europee ed occidentali del partito democratico e di quello popolare. Un percorso non solo ideale ma anche interpretativo ed organizzativo che sembra sin dall’inizio fin troppo accidentato, con facili entusiasmi e con altrettante immediate distinzioni fin troppo negative.

Un problema indubbiamente aperto su cui bisognerà continuare a riflettere ed a spendere più di una energia. Un processo politico che alla lunga, con il concorso ed il convincimento di tutti, riuscirà forse a dare quella agibilità politica che oggi indubbiamente manca e a rendere più omogenee ed affini le coalizioni nel loro interno, ponendo così fine a quei sogni e a quei progetti non certo sopiti di restaurazione di un centro politico onnivoro che oggi sono presenti nelle menti politiche forse di molti. Per ultimo, ma non certo per importanza, il problema di leadership presente oggi nel centrodestra e la fibrillazione del tutto evidente che agita gli ex partiti di governo che sembrano non riuscire a trovare un comune denominatore politico con troppi silenzi e troppi distinguo, con troppe fughe in avanti, con progetti di larghe intese o di irrobustimento della maggioranza, che non aiutano ad offrire una chiarezza politica, ad evidenziare un progetto alternativo, a rappresentare degnamente quell’altra  metà d’Italia destinata altrimenti ad essere orfana di un riferimento politico sicuro.

 

 

 


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