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La Notte della Taranta |
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Come era largamente prevedibile
anche quest’anno la Notte della Taranta ha suscitato enormi consensi di
pubblico e di critica, ampiamente enfatizzati dagli organi di stampa e dagli
organizzatori di Melpignano che oggi rivendicano con merito il successo di una
manifestazione che, grazie alla bravura, alla costanza e agli sforzi di ricerca
storica e culturale delle formazioni musicali salentine e all’apporto di
artisti nazionali ed internazionali di grande levatura, è divenuta sempre più
godibile ed affascinante. E fin qui nulla quaestio. Ma oggi vi è dietro, in
maniera molto manifesta, un progetto più ambizioso, un messaggio comunicativo
oltremodo efficace che ha finalità ed interessi più ampi. La Notte della Taranta viene
sapientemente elaborata e presentata per qualcosa che non è solo semplice
spettacolo di piazza, momento estivo di svago, innamoramento di suoni e di
danze, godimento di musiche decisamente pregevoli e coinvolgenti ma che di fatto
diventa un evento culturale che mira a rappresentare l’essenza intima del
Salento, a definire e qualificare l’identità
salentina, a raccogliere ed esprimere l’anima profonda del popolo
salentino, proprio a partire dalle sue sonorità che vengono da lontano, da quei
suoni di tamburelli, da quelle continue palpitazioni sempre più frenetiche, che
sembrano riemergere dal tempo passato per raccontare il vissuto di una società
antica, di una società contadina, di una comunità agricola e popolare,
attraverso i ritmi ossessivi della pizzica, attraverso i singulti e gli spasmi
dei tarantati. Ed in questo progetto vi è anche
qualcosa di più impegnativo ed ardito, una ulteriore sfida generazionale per
fare della Notte della Taranta una occasione per inserire ulteriori filoni
culturali che prendono spunto dalla musica popolare salentina e vanno oltre nel
tracciare un filo rosso che ridisegni la tradizione popolare italiana, a
partire dalla società meridionale, e rievocare così antiche tradizioni,
veicolare contaminazioni culturali di altre origini, apporti sociali, storici e
filosofici diversi, riscrivere in fondo la storia passata di una parte del
meridione con le sue storie, i suoi drammi, le sue ingiustizie, le sue lotte.
Ed in ultimo rendere La Notte della Taranta l’epifenomeno di un’idea che si
concretizzi ulteriormente nella costituzione di una Fondazione e quindi
nell’avvio di un laboratorio artistico e culturale per la ricerca e la custodia
della salentinità. Un contenitore utile a definire ed esportare l’identità
salentina, a veicolare le tematiche di fondo della società meridionale, ad
esprimere le ragioni profonde ed antiche di un territorio, di una comunità, la
storia e la tradizione del Salento. Un processo di identificazione fra
territorio, musica, storia, cultura, tradizione, fra taranta, pizzica e
Salento. Un vero e proprio marchio Salento. Ed è qui, dall’insieme di queste
finalità, di questi obiettivi, che sorge il problema, è da qui che parte lo
snodo delle diatribe politiche e culturali che contornano il successo della
Notte della Taranta ed impongono una riflessione più attenta. È possibile che
il Salento venga identificato esclusivamente e forse principalmente nella
pizzica e nella taranta? È possibile che il tarantismo, fenomeno estremamente
limitato e decisamente negativo, possa assurgere a simbolo di tutto un
territorio, della storia e della tradizione di un popolo e lasciarlo così
viaggiare nell’immaginazione dei tanti visitatori salentini, facendolo
risultare un’icona forse vincente da spendere in Italia ed all’estero? Si può
tentare di identificare il Salento senza tenere conto delle sue specificità,
delle sue peculiarità, per quelle che risultano e di cui vi è ampia
testimonianza? Si può parlare di Salento senza pensarlo come terra di
accoglienza, come terra di sole e di luce, come scrigno del Barocco, come terra
di un popolo laborioso e generoso? È possibile poi legare una musica, un mondo
di suoni e di balli, un’atmosfera di sfrenata allegria, una piazza di festa e
di ritrovo, ad un partito politico, ad un’area culturale ben definita? È
possibile usare una musica, uno spettacolo per appropriarsene, darvi
significati che vanno oltre la musica stessa e risultarne i testimonial di
tutto un mondo così fascinoso? È possibile una tale egemonia da parte di un
mondo politico che pretende di mettere il sigillo sulla musica, sulla cultura e
sulla storia salentina, che pretende di dare un significato politico ad una
musica, che vuole dare la sua impronta ad un’atmosfera? È allora tempo di distinguere
bene le cose, è tempo di prendere le distanze da questi proggetti, da queste
ambizioni, da questi disegni ideali. Lasciamo dunque il Salento, la sua storia,
la sua tradizione, il suo nobile sentire, le sue bellezze struggenti, i suoi
paesaggi naturali ai veri cantori salentini, a Comi, a Bodini, a Pagano, alle
storie di Capitan Black, alle luci ed alle suggestioni cromatiche dei tanti
nostri pittori. Ai tanti altri fieri ambasciatori delle bellezze del Salento.
Lasciamo agli artisti e solo agli artisti del Salento, alla loro bravura, alla
loro passione, di essere testimoni di una musica travolgente, che dà
entusiasmo, che contagia, per ciò che è senza contaminazioni più o meno
opportune ed idonee con mondi e tradizioni lontane dalle ragioni del nostro
passato. Lasciamo alla musica le suggestioni dei suoni e dei ritmi per quello
che sono senza impadronircene, senza manipolarle, senza usarle. Lasciamo la
musica libera, senza padroni, senza burattinai. Libera di veicolare le sue
emozioni, libera di suscitare ad ognuno palpitazioni e sensazioni diverse.
Lasciamo alla cultura l’anima e la storia di tutto un popolo, con le sue
ragioni, con i suoi tanti perchè.
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