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La Notte della Taranta
  
di Francesco CACCETTA

La Notte della Taranta: spettacolo musicale o evento culturale

Come era largamente prevedibile anche quest’anno la Notte della Taranta ha suscitato enormi consensi di pubblico e di critica, ampiamente enfatizzati dagli organi di stampa e dagli organizzatori di Melpignano che oggi rivendicano con merito il successo di una manifestazione che, grazie alla bravura, alla costanza e agli sforzi di ricerca storica e culturale delle formazioni musicali salentine e all’apporto di artisti nazionali ed internazionali di grande levatura, è divenuta sempre più godibile ed affascinante. E fin qui nulla quaestio. Ma oggi vi è dietro, in maniera molto manifesta, un progetto più ambizioso, un messaggio comunicativo oltremodo efficace che ha finalità ed interessi più ampi.

La Notte della Taranta viene sapientemente elaborata e presentata per qualcosa che non è solo semplice spettacolo di piazza, momento estivo di svago, innamoramento di suoni e di danze, godimento di musiche decisamente pregevoli e coinvolgenti ma che di fatto diventa un evento culturale che mira a rappresentare l’essenza intima del Salento, a definire e qualificare l’identità  salentina, a raccogliere ed esprimere l’anima profonda del popolo salentino, proprio a partire dalle sue sonorità che vengono da lontano, da quei suoni di tamburelli, da quelle continue palpitazioni sempre più frenetiche, che sembrano riemergere dal tempo passato per raccontare il vissuto di una società antica, di una società contadina, di una comunità agricola e popolare, attraverso i ritmi ossessivi della pizzica, attraverso i singulti e gli spasmi dei tarantati.

Ed in questo progetto vi è anche qualcosa di più impegnativo ed ardito, una ulteriore sfida generazionale per fare della Notte della Taranta una occasione per inserire ulteriori filoni culturali che prendono spunto dalla musica popolare salentina e vanno oltre nel tracciare un filo rosso che ridisegni la tradizione popolare italiana, a partire dalla società meridionale, e rievocare così antiche tradizioni, veicolare contaminazioni culturali di altre origini, apporti sociali, storici e filosofici diversi, riscrivere in fondo la storia passata di una parte del meridione con le sue storie, i suoi drammi, le sue ingiustizie, le sue lotte. Ed in ultimo rendere La Notte della Taranta l’epifenomeno di un’idea che si concretizzi ulteriormente nella costituzione di una Fondazione e quindi nell’avvio di un laboratorio artistico e culturale per la ricerca e la custodia della salentinità. Un contenitore utile a definire ed esportare l’identità salentina, a veicolare le tematiche di fondo della società meridionale, ad esprimere le ragioni profonde ed antiche di un territorio, di una comunità, la storia e la tradizione del Salento. Un processo di identificazione fra territorio, musica, storia, cultura, tradizione, fra taranta, pizzica e Salento. Un vero e proprio marchio Salento.

Ed è qui, dall’insieme di queste finalità, di questi obiettivi, che sorge il problema, è da qui che parte lo snodo delle diatribe politiche e culturali che contornano il successo della Notte della Taranta ed impongono una riflessione più attenta. È possibile che il Salento venga identificato esclusivamente e forse principalmente nella pizzica e nella taranta? È possibile che il tarantismo, fenomeno estremamente limitato e decisamente negativo, possa assurgere a simbolo di tutto un territorio, della storia e della tradizione di un popolo e lasciarlo così viaggiare nell’immaginazione dei tanti visitatori salentini, facendolo risultare un’icona forse vincente da spendere in Italia ed all’estero? Si può tentare di identificare il Salento senza tenere conto delle sue specificità, delle sue peculiarità, per quelle che risultano e di cui vi è ampia testimonianza? Si può parlare di Salento senza pensarlo come terra di accoglienza, come terra di sole e di luce, come scrigno del Barocco, come terra di un popolo laborioso e generoso? È possibile poi legare una musica, un mondo di suoni e di balli, un’atmosfera di sfrenata allegria, una piazza di festa e di ritrovo, ad un partito politico, ad un’area culturale ben definita? È possibile usare una musica, uno spettacolo per appropriarsene, darvi significati che vanno oltre la musica stessa e risultarne i testimonial di tutto un mondo così fascinoso? È possibile una tale egemonia da parte di un mondo politico che pretende di mettere il sigillo sulla musica, sulla cultura e sulla storia salentina, che pretende di dare un significato politico ad una musica, che vuole dare la sua impronta ad un’atmosfera?

È allora tempo di distinguere bene le cose, è tempo di prendere le distanze da questi proggetti, da queste ambizioni, da questi disegni ideali. Lasciamo dunque il Salento, la sua storia, la sua tradizione, il suo nobile sentire, le sue bellezze struggenti, i suoi paesaggi naturali ai veri cantori salentini, a Comi, a Bodini, a Pagano, alle storie di Capitan Black, alle luci ed alle suggestioni cromatiche dei tanti nostri pittori. Ai tanti altri fieri ambasciatori delle bellezze del Salento. Lasciamo agli artisti e solo agli artisti del Salento, alla loro bravura, alla loro passione, di essere testimoni di una musica travolgente, che dà entusiasmo, che contagia, per ciò che è senza contaminazioni più o meno opportune ed idonee con mondi e tradizioni lontane dalle ragioni del nostro passato. Lasciamo alla musica le suggestioni dei suoni e dei ritmi per quello che sono senza impadronircene, senza manipolarle, senza usarle. Lasciamo la musica libera, senza padroni, senza burattinai. Libera di veicolare le sue emozioni, libera di suscitare ad ognuno palpitazioni e sensazioni diverse. Lasciamo alla cultura l’anima e la storia di tutto un popolo, con le sue ragioni, con i suoi tanti perchè.

 

 

 


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