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LIBRI/ La poesia cerca la poesia |
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La
poesia è alla ricerca della poesia, indaga sul ritorno, e trova le dissimiglianze del ritorno, per dire che non
c’è strada che non sia stata battuta dagli altri durante la tua assenza; il ri-cominciare è sempre un cominciare, anche quando tutto è già
noto, anche quando si percorrono le vie
del paese natìo, quando ancora si dialoga con la poesia stessa: Dante,
Leopardi, Mallarmé. La sigla
cosmica leopardiana si liquefa in ritorno; dal cosmo al paese natio, alla
poesia già detta, al luogo, al topos;
da lì ricomincia, senza riesumazioni, senza nostalgia (non bastavano i nostri passi/ricevere attendere… la casa da venire/il
suolo delle partenze). Una sorta di ritorno-partenza (per un dopo in un dove); uno scontro tra memorie e preparativi del
viaggio, il viaggio in cui siamo, il
viaggio di sempre (trasferire il natìo
nel forestiero/natìo pellegrino e
cercare/cercare e/vagare). Il
natìo-promessa, promessa di vita altrove, eppure sempre un ritorno al natìo,
come terra promessa (dove posare/riposare
nel dopo/senza poi senza dove/la vita…).Un fluire della stasi, come un
fiume, che è sempre lì, ma fluisce, scorre, tra faggi e betulle; qualcosa ti
incanta, e può farti prigioniero della memoria. Gli
spazi interminati che in Leopardi separano la siepe dall’infinito, si riempiono
in Carlo Alberto Augieri di «intime pluralità» e di «rumori piangenti eventi»,
di assordanti emozioni, di parole che esplorano il silenzio e la profondissima
quiete. Così come il fingere del pensiero si connette all’artificio della
sequenza del riciclaggio incontro tra
pezzi che/s’addentrano per /protuberanze/equazionali…E il cuore si spaura nel vedere separare confinare/aguzzare definire/formulare, mentre il
vento si fa voce di presenze senza corpo. L’ermetismo
ora si dipana, ora emerge tutto quello che deliberatamente si è taciuto: voci di donne sepolte/ il vento urlo e voci
di corpi taciuti/rese anime nel goccio/di silenzio. Vento, suono, voce;
vento e tracce; silenzio e vento; perturbamenti infinitivi: indefinità in/stabile, forse il caos, o libera simmetria di arbitrio, in
cui l’io s’annega e raccoglie le parti della vita. La
simbologia si svuota di figurazioni e si naturalizza nelle nuvole, nella terra,
nella traccia di un piede sulla sabbia attraversato dall’onda, nel primo cielo
sommesso del bosco, la prima cornice del cielo, con alle spalle l’ultimo
girone, tra inferno e paradiso. L’intercalare
delle opposizioni porta il poeta alla elegia dell’ansia, e il pneuma poetico
equilibra il respiro. I ritmi della poesia di Carlo Alberto Augieri
corrispondono al ritmo del respiro, sì che induce nei lettori una
corrispondenza di palpito e di voce. Di
fatto, ciò che è mio è già di altri, non si può dare appropriazione nel
cominciamento o nel ritorno alla poesia, non c’è guadagno, anzi c’è la
dispersione dell’utile; c’è invece il finire della tensione appropriativa,
subentra l’essere a demolire l’avere. Dove l’avere è potere; dunque anche la
fine del potere: il potere della parola, il potere comunque si presenta. Nel
ritorno c’è sempre una compresenza dell’altro, c’è una eco delle voci degli
altri, di Dante, come di Augusto Ponzio; per cui il sociale diventa, per Carlo
Alberto Augieri, vociale, come dire
che la parola (del poeta) ha accesso alla coscienza, al di là del vocifare mercantile, al di là del
tamburellare dei poteri. Il
cominciare-ricominciare è l’unico andare
del poeta. Il Da-sein, il «sono qui»,
dice Augusto Ponzio nella Prefazione
dialogica, non è che convocazione dell’altro, appello all’altro, il fascino
dell’altro; probabilmente anche l’attesa di significato che riceviamo
dall’altro. *Prof. Università di Lecce
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