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LIBRI/ "Una piccola bestia ferita" |
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Una razza in via d’estinzione: di queste professoresse (o
profie per dirla alla torinese) non ne esistono davvero più. Di quelle che
fiutano l’odore d’infelicità degli studenti, che interrompono una lezione sugli
Inni sacri per raccontare i fatti propri, che rinunciano alla retorica di prof.
da liceo per avvicinarsi al gergo quotidiano. Di quelle che - quando hai un
problema - non ti squadrano pensando che hai bisogno dello psicologo o di una
ripetizione sul Manzoni ma capiscono che hai bisogno di un consiglio. Fortuna
che una profia di questo tipo la si trova ancora nei libri, o meglio nei libri
di Margherita Oggero, ex professoressa (e si vede), autrice di due gialli frizzanti
e quasi “anti-scolastici”: “La collega tatuata” (2002) e “Una piccola bestia
ferita” (2003). L’ultimo, in particolare, è un
vero e proprio spaccato di vita quotidiana: una città del nord con tanto di
traffico e nebbia, una professoressa divisa tra figlia, marito, mamma, cane e i
compiti da correggere, un ragazzo quindicenne pustoloso e infelice e la sorella
arrogante, dispettosa e lunatica. Storie di una routine rotta dal sequestro
della giovane, Karin, che vive con la famiglia nello stesso palazzo della
profia. E allora, tra impegni vari, amiche depresse e cene improvvisate, la
professoressa sfodera le sue armi da ficcanaso e comincia ad indagare sulla
storia del sequestro, a cui ha fatto seguito la brutale uccisione del fidanzato
della ragazza. Ma queste profie non si fanno
mai i fatti loro? Eh no, sempre lì, pronte ad annusare la malinconia o le
speranze dei loro studenti, pronte a rifilarti un quattro al momento giusto, ma
anche pronte, almeno in questo caso, ad aiutare i giovani disillusi ad uscire
dal ginepraio di incertezze. E magari anche a risolvere un caso di rapimento
con il dovuto happy end. Fra gli stereotipi di
professoresse mosce, inacidite, irritanti, irreprensibili, la Oggero ce ne
propone una nuova, vivace e autoironica, che scantina le riunioni e si fa beffa
delle scartoffie della preside. La profia del romanzo si muove in una realtà
scolastica borghese e inconsistente: le colleghe, in particolare, sono
enciclopedie ammuffite, tutte impegnate a far funzionare la burocrazia
scolastica compilando moduli e stilando relazioni. Ottima la tecnica narrativa, che
afferra il lettore e lo tiene legato alle pagine fino alla fine, in un
oscillare tra prima e terza persona, tanto che alla fine si ha l’impressione di
leggere quasi un diario simultaneo delle dis-avventure della profia (di cui non
si sa nemmeno il nome!). La lingua è l’altro punto forte del romanzo: la Oggero
è in grado di rimaneggiare il gergo giovanile e il linguaggio colto da prof.
d’italiano in modo eccezionale, il suo è un modellare le parole in modo tale da
renderle vive, piacevoli da ascoltare, facili da catturare. La parte più riuscita del libro è
sicuramente la prima: l’autrice semina indizi e informazioni, creando la
suspance sulla vittima del fattaccio. Chi dovrà liberare dal sequestro, la
profia? Il giovane infelice che abita nel palazzo? O sua sorella? O forse
l’amica depressa? La fidanzata del collega esperta in judo & co.? La
risposta arriva puntuale e, come se non bastasse, si aggiunge anche un
cadavere. Il giallo è fatto. Se non fosse per il finale… Per il resto del libro, la
storia prosegue mantenendo la presa, introduce indizi curiosi fra un’influenza,
una cena e un’interrogazione, ma proprio quando il lettore pregusta lo
scioglimento dell’enigma…ormai deve chiudere il libro. L’enigma rimane talis et qualis. O meglio:
una sorta di spiegazione c’è, quando si raccontano gli antifatti al rapimento
(anche se si tratta di una spiegazione piuttosto frettolosa, considerando lo
spazio dedicato, all’inizio, alla vita quotidiana della profia), ma il lettore
rimane comunque all’oscuro della vera identità dei sequestratori. Arriva la
polizia, libera la ragazza…che rimarrà segnata da questa storia, con gli occhi
“di una piccola bestia ferita”. Basta. Il lettore chiude e gli rimane un po’
l’amaro in bocca. “Una piccola bestia ferita” è
uno di quei romanzi che si gustano tutto d’un fiato, di quelli che si leggono
tra una pubblicità e l’altra, durante le ore di lezione, mentre si aspetta che
la pasta sia pronta o il computer si connetta a internet. Da leggere,
rigorosamente prima della scuola, con la speranza di trovarsi in classe una
profia frizzante e mordace, fuori dagli schemi. Più che consolatorio.
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