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LIBRI/ "Una piccola bestia ferita"
Quando la professoressa è una "ficcanaso" arguta e vivace

  
di Giorgia CIPELLI

Una razza in via d’estinzione: di queste professoresse (o profie per dirla alla torinese) non ne esistono davvero più

Una razza in via d’estinzione: di queste professoresse (o profie per dirla alla torinese) non ne esistono davvero più. Di quelle che fiutano l’odore d’infelicità degli studenti, che interrompono una lezione sugli Inni sacri per raccontare i fatti propri, che rinunciano alla retorica di prof. da liceo per avvicinarsi al gergo quotidiano. Di quelle che - quando hai un problema - non ti squadrano pensando che hai bisogno dello psicologo o di una ripetizione sul Manzoni ma capiscono che hai bisogno di un consiglio. Fortuna che una profia di questo tipo la si trova ancora nei libri, o meglio nei libri di Margherita Oggero, ex professoressa (e si vede), autrice di due gialli frizzanti e quasi “anti-scolastici”: “La collega tatuata” (2002) e “Una piccola bestia ferita” (2003).

L’ultimo, in particolare, è un vero e proprio spaccato di vita quotidiana: una città del nord con tanto di traffico e nebbia, una professoressa divisa tra figlia, marito, mamma, cane e i compiti da correggere, un ragazzo quindicenne pustoloso e infelice e la sorella arrogante, dispettosa e lunatica. Storie di una routine rotta dal sequestro della giovane, Karin, che vive con la famiglia nello stesso palazzo della profia. E allora, tra impegni vari, amiche depresse e cene improvvisate, la professoressa sfodera le sue armi da ficcanaso e comincia ad indagare sulla storia del sequestro, a cui ha fatto seguito la brutale uccisione del fidanzato della ragazza.

Ma queste profie non si fanno mai i fatti loro? Eh no, sempre lì, pronte ad annusare la malinconia o le speranze dei loro studenti, pronte a rifilarti un quattro al momento giusto, ma anche pronte, almeno in questo caso, ad aiutare i giovani disillusi ad uscire dal ginepraio di incertezze. E magari anche a risolvere un caso di rapimento con il dovuto happy end.

Fra gli stereotipi di professoresse mosce, inacidite, irritanti, irreprensibili, la Oggero ce ne propone una nuova, vivace e autoironica, che scantina le riunioni e si fa beffa delle scartoffie della preside. La profia del romanzo si muove in una realtà scolastica borghese e inconsistente: le colleghe, in particolare, sono enciclopedie ammuffite, tutte impegnate a far funzionare la burocrazia scolastica compilando moduli e stilando relazioni.

Ottima la tecnica narrativa, che afferra il lettore e lo tiene legato alle pagine fino alla fine, in un oscillare tra prima e terza persona, tanto che alla fine si ha l’impressione di leggere quasi un diario simultaneo delle dis-avventure della profia (di cui non si sa nemmeno il nome!). La lingua è l’altro punto forte del romanzo: la Oggero è in grado di rimaneggiare il gergo giovanile e il linguaggio colto da prof. d’italiano in modo eccezionale, il suo è un modellare le parole in modo tale da renderle vive, piacevoli da ascoltare, facili da catturare.

La parte più riuscita del libro è sicuramente la prima: l’autrice semina indizi e informazioni, creando la suspance sulla vittima del fattaccio. Chi dovrà liberare dal sequestro, la profia? Il giovane infelice che abita nel palazzo? O sua sorella? O forse l’amica depressa? La fidanzata del collega esperta in judo & co.? La risposta arriva puntuale e, come se non bastasse, si aggiunge anche un cadavere. Il giallo è fatto. Se non fosse per il finale…

Per il resto del libro, la storia prosegue mantenendo la presa, introduce indizi curiosi fra un’influenza, una cena e un’interrogazione, ma proprio quando il lettore pregusta lo scioglimento dell’enigma…ormai deve chiudere il libro. L’enigma rimane talis et qualis. O meglio: una sorta di spiegazione c’è, quando si raccontano gli antifatti al rapimento (anche se si tratta di una spiegazione piuttosto frettolosa, considerando lo spazio dedicato, all’inizio, alla vita quotidiana della profia), ma il lettore rimane comunque all’oscuro della vera identità dei sequestratori. Arriva la polizia, libera la ragazza…che rimarrà segnata da questa storia, con gli occhi “di una piccola bestia ferita”. Basta. Il lettore chiude e gli rimane un po’ l’amaro in bocca.

“Una piccola bestia ferita” è uno di quei romanzi che si gustano tutto d’un fiato, di quelli che si leggono tra una pubblicità e l’altra, durante le ore di lezione, mentre si aspetta che la pasta sia pronta o il computer si connetta a internet. Da leggere, rigorosamente prima della scuola, con la speranza di trovarsi in classe una profia frizzante e mordace, fuori dagli schemi. Più che consolatorio.

 

 

 


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