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C'era una volta Bertinotti |
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C’era
una volta il segretario di Rifondazione Comunista. Permetteteci, per una volta,
di raccontarvi una fiaba. Prima di salire a cotanto podio era un giovane
volenteroso e ambizioso, nulla di male in ciò, ché una sana voglia di
realizzarsi secondo le proprie capacità e inclinazioni è cosa buona e giusta.
Insomma il baldo giovane per quasi un ventennio si prodiga nella CGIL, per poi
abbandonarla quando il Partito della Rifondazione Comunista lo acclama proprio
segretario. Si potrebbe pensare a un bravo giovane che pian pianino costruisca
il suo avvenire come una brava formichina ripagando il proprio schieramento con
fedeltà e costanza, ma è opportuno precisare che, sin dalla più giovane età, il
nostro caro Bertinotti ha amato il tourbillon. Si
iscrive in primis al PSI, poi carambola al PSIUP per approdare al lido del PCI
prima del PDS poi funanbulando, nel ‘93, al PRC. Mentre lui girandolava per
partiti e partitini, un pm all’arrembaggio arrestava Mario Chiesa, “un mariolo”
ebbe a dire un Craxi che da quel momento fu vituperato e oggi è in odor di
beatificazione, ma questa è un’altra fiaba. Ebbene sotto le ruspe di Mani
Pulite crollano i palazzi del potere e i loro guardiani, cioè il sistema dei
partiti. Sembrava fatta! La sinistra convinta di essere l’unica forza politica
credibile, guarda con sufficienza quel parvenu che si definisce Presidente
operaio e affronta le elezioni del ‘94 sfoggiando una coda di pavone da far
invidia anche a un pavoncello in amore. Accade
quindi che il novello politico alias Berlusconi, a sorpresa sbaragli tutti e si
insedi vittorioso a Palazzo Chigi. La sinistra è sotto choc! Tempo un anno e il Cavaliere cede le armi: assediato
dall’opposizione, dai sindacati, dagli avvisi di garanzia e dal voltafaccia di
Bossi, a dicembre ‘94 si dimette. Un governo di interregno con Dini, poi nuove
elezioni nel ‘96. Ed è qui che entra in scena il Prof. Prodi che da bravo
democristiano riesce a far salire su un unico carrozzone ex democristiani,
democristiani pentiti, ex comunisti, comunisti, socialisti e tutto quel che
riesce a raccattare attorno. Tutti appassionatamente insieme per battere il
Cavaliere e i suoi berluscones. Cosa fa nel frattempo il bravo segretario di
RC? Sbraita, urla, motteggia, sino a convincere tutti che lui e solo lui sia il
depositario delle lotte e delle rivendicazione dei lavoratori, che lui solo lui
(il parolaio splendido splendente, come lo definisce Giampaolo Pansa) sia il
custode della madre di tutte le battaglie politiche: la sconfitta di
Berlusconi! Si avvia così il primo governo Prodi. La favola è ben nota: passato
l’entusiasmo per la sconfitta del Cavaliere il nostro, ormai non più baldo
giovane, ma maturo signore, scalpita e fuma come cavallo pronto a uno sfrenato
galoppo. L’epilogo è anch’esso noto, Bertinotti decide di sfiduciare il governo
e rimanda mestamente a casa il mite Prodi. È doveroso dire che questa mossa non
fu priva di tormenti e scrupoli ché ogni sera l’ormai maturo signore dovette
battagliare con il grillo parlante che ostinatamente lo sconsigliava di far tal
gesto. Infine con un colpo ben assestato il maturo signore mise a tacere il
grillo parlante e salì sul podio urlando che gli unici duri e puri eran loro,
gli aspiranti rifondatori di un comunismo che ormai non c’è più da nessuna
parte. La punizione fu esemplare: cinque anni all’opposizione, cinque anni a
rodersi il fegato, cinque anni a dirsi che magari aveva esagerato. Torna in
scena il Prof. Prodi. Come
un cavaliere d’altri tempi torna dall’esilio a cui era stato mandato da
Bertinotti in ensemble con la “cupola” dei D’Alema, dei Rutelli, dei Marini, si
rimette pazientemente a tessere la tela e imbarca tutti su di un unico barcone.
Certo il peso può farlo affondare, così si attrezza di salvagenti e
lanciarazzi, ossia mette tutti sotto contratto con un corposo programma
sperando d’aver previsto tutto e aver messo d’accordo lupi e pecore. Come
accade sempre nelle migliori fiabe, felicemente tornano a Palazzo Chigi. E vissero
felici e contenti? Giammai! Anche nelle fiabe non sempre accade. Le minacce, i
mugugni, i ricatti, si palesano sin dal voto per eleggere il Presidente del
Senato, quel Marini con nome e cognome che carambolava su diverse varianti. Da
lì è stata un’escalation, sino alla dichiarazione dei senatori della sinistra
radicale di non votare per il rifinanziamento della missione in Afghanistan o
il non voto al Dpef del ministro Ferrero: giusto per citare alcune circostanze.
Insomma dopo aver firmato un programma, preteso la Presidenza della Camera,
ministri, sottosegretari e presidenze varie, la sinistra radicale vuol
continuare a gridare che i duri e puri son loro e solo loro. Il
buon senso, spesso accusato di esser parente stretto del qualunquismo, non ha ben
chiaro il motivo che ha spinto Bertinotti e il suo squadrone a entrare in un
governo in cui le differenze tra forze politiche sono sostanziali. Vi era un
tempo in cui la sinistra radicale post sessantottina non sedeva in Parlamento,
ragion per cui era denominata extraparlamentare. Ebbene, è accaduto che questa
stessa sinistra, l’ala più moderata, negli anni ‘70 abbia votato per il PSI o
per il PCI. In buona sostanza i gruppi extraparlamentari fornivano sostegno
elettorale a quei partiti che con maggior vigore contrastavano il nemico di
allora: la DC. Oggi l’appassionatamente insieme, ancora una volta, si è
cementato sulla necessità di mandare a casa il Cavaliere: è stato ingenuo Prodi
a credere che bastasse la lezione del ‘96 per tenerli insieme, sempre e
comunque? Il
grillo parlante è convinto che il Prof. sia stato ingenuo. Il grillo parlante
che è un idealista convinto nell’ultima campagna elettorale ha proposto a
Bertinotti di far votare in massa per l’Ulivo, di chiedere ai suoi elettori di
votare l’Ulivo e lasciare la sinistra radicale a becco asciutto: fuori dal
Parlamento ma integerrima e libera di protestare e urlare. Per amore della
verità, per un breve momento Bertinotti si è trastullato con quest’idea
immaginando pagine di Storia dedicate a un gesto infine rivoluzionario:
all’arma bianca. Per amore della verità, per lungo tempo Bertinotti si è
trastullato con l’immagine di sé sullo scranno più alto della Camera. Ad onore
e memoria del suo vecchio ruolo di segretario di RC ha lasciato ai posteri: le
riprese video della celebrazione del 2 giugno 2006 e la sua nostalgia per i
comizi. Il grillo parlante riposa senza pace.
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