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Il Museo del giunco palustre di Acquarica del Capo |
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Acquarica del Capo ha da alcuni mesi battezzato il nuovo Museo
del Giunco Palustre, un’iniziativa dell’Amministrazione Comunale che finalmente
valorizza e salva la memoria di un artigianato che è peculiare della storia
sociale ed economica del paese da meritare ai suoi abitanti il soprannome di
“spurtari” cioè produttori di sporte, cestini, “fisculi” realizzati col giunco. L’uso del giunco palustre è
stata per secoli l’artigianato tipico del paese tanto che Giacomo Arditi nella
sua Corografia di terra d’Otranto riferisce che le donne acquaricesi, oltre che
collaborare con gli uomini ai lavori agricoli, si dedicano anche “all’industria
speciale di tessere sporte, cestini e fiscelle di giunco (iuncus et fusus), che
chiamano volgarmente “Pileddu”. Raccolto nelle paludi del
Tarantino (Avetrana) e del Leccese ed opportunamente trattato (tramite bollitura, essiccazione, zolfatura) il
giunco veniva lavorato per ottenere “quelle utili e svariate fatture, alcune
delle quali meritarono di stare all’Esposizione Mondiale di Vienna nel 1873” dove, dice il De Giorgi (1882), i cestini
acquaricesi “meritarono un premio”. Dopo l’esposizione alla Mostra Nazionale di
Torino, si ebbero numerose commissioni che furono soddisfatte attraverso la
lavorazione a conduzione familiare, mentre la mancanza di un opificio
organizzato non ne consentì lo sviluppo su scala “industriale” (un tentativo
fatto da un imprenditore inglese si esaurì alla sua morte). Nella prima metà
del ‘900, il commercio dei cestini cominciò a rifiorire. A partire dal 1926
nacqero e si svilupparono piccoli opifici per iniziativa di alcuni imprenditori
che, presso le proprie abitazioni, raggruppavano 15-20 cestinaie. La giornata
lavorativa iniziava alle 7 del mattino e terminava la sera, ma, per le
spedizioni urgenti, si lavorava anche di notte. I prodotti venivano spediti
oltre i confini salentini (Bari, Rimini, Riccione, Milano, Firenze) e
all’estero (Inghilterra, Svizzera e perfino in America). I cestini prodotti dalle
spurtare (cestinaie) di Acquarica erano molto usati nella vita quotidiana della
civiltà contadina del tempo ed erano venduti nei mercati paesani del Salento
Meridionale e ad alcuni rivenditori delle province di Bari e di Brindisi. Spesso,
per le precarie condizioni di vita della maggior parte della popolazione e la
limitata circolazione del denaro, i cestini venivano barattati con prodotti
alimentari (legumi, formaggio, farina, olio, vino, taralli,…). Alcuni cestini venivano spediti
all’isola d’Elba presso l’Istituto di pena dove i carcerati li usavano per
portarsi il pranzo quando andavano a lavorare fuori dalle carceri. I lavori più
belli, esposti presso le fiere nazionali e internazionali, ottennero vari
riconoscimenti e venivano richiesti, su ordinazione, da commercianti del Nord
Italia. Il Museo
presenta foto storiche di lavoratrici del giunco, un campionario stampato negli
anni ‘50 che illustra l’oggettistica da presentare ai vari acquirenti, un
giornalino realizzato dalle classi 3^-4^-5^ della Scuola Elementare “E. De
Amicis” nell’anno scolastico 1984-1985, che descrive il lavoro del giunco con
una piccola ricerca storica, contenitori con vetrine allestite con manufatti in
giunco realizzati da Maria Calzolaro, Maria Verardo e Francesca Luca che ancora
oggi continuano ad intrecciare lu paleddu.
Ma l’attrazione più interessante del Museo è il “Presepe di Giunco” (la
Natività e alcune scene di vita socio-religiosa acquaricese) realizzato circa
40 anni fa da Addolorata Olimpio (che per questa opera ha ricevuto
l’onorificenza di Cavaliere del Lavoro da parte del Presidente della Repubblica
Francesco Cossiga) e donato dai figli al Comune per essere conservato nel
Museo.
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