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Moratoria sulla pena di morte: Successo diplomatico o atto non vincolante? |
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Il 18 dicembre 2007 l’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite ha approvato a larga maggioranza la risoluzione
che prevede una moratoria della pena capitale nel mondo, con 104 voti a favore,
54 contro e 29 astenuti. Tra i contrari alla moratoria, paesi dove la pena di
morte è ancora in vigore, troviamo: Afghanistan, Egitto, Jamaica, India,
Bangladesh, Pakistan, Giappone, Arabia Saudita, Siria, Cina e per ultimi Corea
del Nord, dove il regime comunista dell’ “eterno” Kim Jong-il continua a non
rispettare i diritti umani, e Iraq, paese in cui la democrazia deve ancora
trovar posto. Discorso a parte meritano gli Stati Uniti, i quali hanno votato
no alla moratoria, ma il loro voto è stato un gesto obbligato perché, escluso
qualche delitto che ricade sotto la giurisdizione dei tribunali federali
punibile con la morte, sono i singoli Stati e le autonomie locali, e non il
Presidente né il Parlamento, che
decidono le pene per i diversi reati. Il 91 per cento delle pene
eseguite nel mondo si concentra in pochi Paesi: Cina, Iran, Iraq, Sudan,
Pakistan, Usa e Arabia Saudita; la Cina da sola raggiunge l’80% del totale, ed
è ancora impossibile effettuare un più approfondito monitoraggio delle esecuzioni
in questo paese, per il semplice fatto che i dati statistici sono coperti dal
segreto di stato. La Risoluzione, spinta con
energica convinzione dall’Italia e dall’Unione Europea, esorta gli Stati che
mantengono la pena di morte a “restringere progressivamente” il numero delle
esecuzioni e ridurre il numero dei reati per i quali la pena di morte può
essere imposta; saranno tenuti, inoltre, a stabilire una moratoria sull’esecuzione
capitale, in vista di una sua definitiva abolizione. Spetterà all’ONU
verificare, Stato per Stato, l’applicazione della moratoria. Il dettato della risoluzione
risulta un successo della diplomazia, europea, internazionale e, con un pizzico
di sciovinismo, italiana. I nostri diplomatici a New York hanno dato il meglio
per evitare un nuovo scontro frontale con il fronte del no: hanno favorito toni
concilianti, sviluppando il dialogo con i sostenitori della pena di morte,
cercando di presentare serie argomentazioni per limitarne la portata e trovare
forme di pena alternative. Al di là del contenuto nobile,
quanto la risoluzione sarà efficace? Sarà utile per impedire ai nord coreani di
giustiziare altri individui? Basterà per non vedere più le impiccagioni in
piazza nelle città dell’Iran? Servirà ad impedire di avere altre esecuzioni
negli Stati Uniti? O resterà lettera morta? Dal punto di vista giuridico una
risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha una natura
“meramente” esortativa, di regola contiene raccomandazioni, cioè atti non vincolanti. L’efficacia giuridica delle
risoluzioni non è assolutamente garantita: esse “invitano ma non obbligano”.
Del resto, la risoluzione appartiene alla categoria della soft law, (risoluzioni, raccomandazioni, pareri): atti non vincolanti,
che in alcuni casi hanno finalità consultive. Il generico dovere di rispettare
il contenuto del testo deriva dall’obbligo di leale cooperazione con
l’Organizzazione delle Nazioni Unite, ma non tutti gli Stati della comunità
internazionale brillano per lealtà e correttezza. Una risoluzione, inoltre, non
ha specifici meccanismi di controllo giurisdizionale, che non siano azioni
giuridiche limitate. Molto più ottimista
sull’efficacia della moratoria è Antonio Cassese, docente di Diritto
Internazionale. Secondo Cassese il testo della risoluzione fornirà una
“legittimazione politica” a quei governi che vorrebbero abolire la pena di
morte, ma sono bloccati dall’opinione pubblica interna o da alcuni movimenti
politico-religiosi. Altri Governi che iniziano a dubitare della pena di morte
potrebbero seguire la risoluzione e ridurre almeno il numero di reati
implicanti quella pena. Grazie alla risoluzione appena votata, la questione
della pena capitale è iscritta automaticamente all’ordine del giorno di ogni
Assemblea Generale, per essere discussa ogni anno. Inoltre, i vari organi
dell’ONU sono autorizzati ad essere operativi su questo tema; ad esempio l'Alto
Commissario per i Diritti Umani istituirà una "task force", per
assistere i paesi che vogliono gradualmente introdurre limitazioni all’utilizzo
della pena capitale. Cassese sottolinea un ulteriore
effetto molto importante della risoluzione: la trasparenza a cui sono tenuti
gli Stati che applicano la pena di morte nel fornire dati e informazioni sulle
esecuzioni capitali, sui reati per cui sono state somministrate, e sui casi di
sospensione dell’esecuzione. Questi dati permetteranno al Segretario Generale
dell’ONU di redigere un rapporto sull’attuazione della risoluzione approvata a
dicembre, da presentare successivamente all’Assemblea. In questo modo i paesi
che finora hanno nascosto quei dati, come la Cina, dovranno fornirli, perchè a
chiederli sarà un organo “autorevolissimo” dell’ONU. L’ottimismo di Cassese risulta
difficilmente condivisibile. Il contenuto della risoluzione non impone agli
Stati la sospensione delle esecuzioni capitali, e non li obbliga ad abrogare le
leggi nazionali che prevedono la pena capitale. Si limita a…..esortarli.
Intanto la Corea del Nord ha negli ultimi giorni condannato a morte alcuni
membri del Parlamento, e l’Iran e la Nigeria continuano con le impiccagioni
pubbliche di giovani omosessuali. La risoluzione sembra essere
dunque un atto giuridico dall’alto valore simbolico, che tutt’al più può
rappresentare uno strumento di pressione morale. Rimane comunque un atto non
vincolante, e sarà molto difficile convincere gli Stati in cui la pena di morte
è coperta da segreto di stato, ad aprire i loro archivi segreti. La risoluzione
è ancora un punto di partenza, un ottimo punto di partenza; essa rappresenta
l’avvio di un processo mondiale di condanna della pena di morte, pena disumana
ed eccessiva. Questa dura condanna dovrà avvenire prioritariamente al livello
dell’opinione pubblica, trasformandosi in un vasto movimento di opinione, e poi
al livello dei governanti, costretti a registrare le inclinazioni di
un’opinione pubblica finalmente matura.
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