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Rivoluzione italiana: con l'spc si viaggia veloci
  
di Gianluca MARASCO

Non è un nuovo treno delle Ferrovie dello Stato, né una nuova sigla politica tra le tante ultimamente emerse

Non è un nuovo treno delle Ferrovie dello Stato, né una nuova sigla politica tra le tante ultimamente emerse. SPC sta per Sistema Pubblico di Connettività ed è l’infrastruttura tecnologica che dal 2008 collegherà computer e uffici sull’intero territorio nazionale, amministrazioni centrali e locali. Si tratta di una grande rete di comunicazione che porterà, grazie all’ausilio della tecnologia, ad una rivoluzione nel campo della burocrazia: diviene infatti realtà la materializzazione dei documenti, cioè la possibilità di non dover più accumulare chili di carte e certificazioni per fare una banale richiesta presso un ufficio e alla Pubblica amministrazione di dire addio agli enormi archivi polverosi e allo spreco di carta. Mediante l’interconnessione tra uffici e l’accesso sicuro alle banche dati dei vari enti sarà possibile snellire i tempi di accertamento dei requisiti per le pratiche che lo richiedono. Gli enti pubblici di ogni ordine e grado potranno dialogare attraverso le tecnologie del VoIP, Voice over Internet Provider, rese obbligatorie in Finanziaria, che (come molti di noi hanno fatto esperienza usando Skype) permettono di risparmiare enormemente sui costi telefonici e sul trasferimento di dati e informazioni. Con il nuovo sistema si manderà in pensione la vecchia e farraginosa RUPA, Rete Unitaria della Pubblica Amministrazione, nata nel 1999, che tante attese ha deluso negli anni precedenti, passaggio che comporterà un decremento di spesa dai 130 milioni di euro del 2005, anno d'avvio del progetto, ai 54 milioni di euro attuali, ma con prestazioni incrementate del 110%.

Il tutto si traduce in un risparmio di tempi e di costi sia per lo Stato che per i cittadini, che potrebbero finalmente dimenticare molte delle celeberrime file agli sportelli.

Curatore dell’intera rivoluzionaria operazione è il braccio informatico del Governo, il CNIPA, che ne ha curato lo sviluppo, integrando oltre un milione di telefoni e oltre 550 mila computer della pubblica amministrazione, per una rete che viene definita senza mezzi termini la più grande rete telematica pubblica in Europa.

Altro elemento importante è una costola dell’SPC, la RIPA, ovverosia  Rete Internazionale della Pubblica Amministrazione italiana, rete telematica in grado di collegare rapidamente e con sicurezza l’Italia con le centinaia di uffici esteri del nostro Paese, Ambasciate e consolati in primis.

L’affidabilità del progetto è garantita da non uno, ma ben quattro società di servizi telematici, grazie ad un innovativo appalto multifornitore: Fastweb, BT ITalia, Wind e Telecom Italia.

Tutto bene, allora? Possiamo essere felici? No. Perché l’intero sistema funzioni a dovere e porti gli effettivi benefici preventivati sarà necessario che l’innovazione arrivi fino “all’ultimo miglio”, raggiunga cioè tutti gli uffici pubblici, fino all’anagrafe dello sperduto paesino di montagna. Altrimenti come per gli impianti ad imbuti di diversa ampiezza, la velocità complessiva dell’intero processo sarà determinata dal livello più lento. "Varato il sistema nazionale - ha dichiarato Beatrice Magnolfi, sottosegretario all'Innovazione - comincia la seconda fase: la trasformazione dell'SPC in una rete federale di Regioni, Province, Comuni, Comunità Montane e degli altri enti locali, mettendo in contatto tutte le amministrazioni pubbliche del Paese e permettendo, pertanto, di realizzare una completa cooperazione applicativa nello scambio di dati".

Dovranno essere le Pubbliche amministrazioni locali cioè a fornire al cittadino gli strumenti adatti a sfruttare le nuove opportunità offerte dall’SPC. Come? Innanzitutto non è più procrastinabile l’introduzione delle Carte di Identità elettroniche che sono la chiave d’accesso alla quasi totalità dei più innovativi servizi telematici  prossimi venturi, Bisognerà diffondere l’uso della firma digitale che consente di autenticare i documenti elettronici senza possibilità di dubbio, rendendo legalmente riconosciuti i file spediti via internet e via posta elettronica e lecita la firma digitale di contratti o autocertificazioni. Le Camere di Commercio di mezza Italia hanno provato a favorire l’acquisto di questi strumenti da parte dei propri iscritti, ma l’operazione di diffusione e sensibilizzazione si è rivelata fallimentare, visti anche la scarsa informazione in materia. Infine è pur necessaria un’opera di preparazione dei cittadini di ogni fascia di età e di classe sociale all’uso di internet. Introdurre innovazione in un Paese culturalmente impreparato ad accoglierla e sfruttarla è sprecare risorse ed energie; e l’Italia, com’è noto, dal punto di vista tecnologico è, tra i Paesi avanzati, quello più indietro. Viene da chiedersi: con Enti locali in cronica mancanza di fondi, come si potranno acquisire le piattaforme tecnologiche (molto costose) utili a fornire i servizi previsti se solo la CIE costa 25 Euro?

 

 


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