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La colonna di S. Oronzo, tra leggende e polemiche
Secoli di storia ed episofi bizzarri fanno segnato la sua storia, rendendola ancora più cara ai leccesi

  
di Valentina VANTAGGIATO

LA COLONNA DI S

Qualche tempo fa circolava la voce che il sindaco di Brindisi, Domenico Mennitti, avrebbe chiesto alla Città di Lecce la restituzione della famosa colonna di Sant’Oronzo. “Il fusto ed il capitello”, si legge in una nota del primo cittadino Paolo Perrone, “ci furono donati dai brindisini nel 1658 per onorare e ringraziare il santo, nostro Patrono, che li aveva liberati dalla peste”. Essi, infatti, quando il morbo attanagliava Terra d’Otranto, si rivolsero a Sant’Oronzo affinché accorresse in loro aiuto. La peste lasciò il brindisino e i suoi abitanti si sentirono in obbligo verso il santo. Decisero, pertanto, di omaggiarlo donando la colonna monumentale.

Intorno alla singolare richiesta del sindaco di Brindisi sono nate numerose polemiche. I leccesi non possono e non vogliono rinunciare alla loro tanto amata colonna. Il sindaco Perrone così ha risposto: “La richiesta mi sembra un po’ grottesca e soprattutto è una martellata alle aspirazioni di quel Grande Salento che pretende anche buon senso e grande collaborazione tra gli enti territoriali”.

La colonna di Lecce, sorta, si dice, nel punto in cui il santo fu decapitato, non è però solo sinonimo di diatribe. Essa, infatti, racchiude in sé secoli di storia ed episodi bizzarri che l’hanno segnata e che ce la rendono ancora più cara. Alta 29 metri, si erge fiera al centro dell’omonima piazza nel cuore della città. Per poterla edificare fu utilizzato il marmo di una delle due colonne terminali della via Appia. La prima pietra fu posta intorno al 1666. Dopo un’interruzione di qualche anno, i lavori ripresero nel 1681 per concludersi cinque anni più tardi.

La colonna ha il grande onore di sorreggere la statua di Sant’Oronzo. Nel 1666, Giuseppe Zimbalo realizzò l’opera alta cinque metri, in legno ricoperta di rame. A commissionarla furono i leccesi per adempiere ad un voto. Nel 1656, infatti, anche Lecce si ritrovò a fare i conti con la peste e i cittadini pregarono il santo per essere risparmiati. La statua originaria fu, tuttavia, danneggiata nell’agosto del 1737. Durante la festa del santo, un razzo bruciò il busto, il quale venne totalmente rifatto a Venezia e nel 1739 fu ricollocato al suo posto.

Diverse leggende riferiscono fatti inspiegabili e spesso miracolosi accaduti intorno a questo luogo. Si racconta che, quando la prima statua del santo andò distrutta, le ceneri guarirono gli infermi in men che non si dica. L’annuncio giunse presto alle orecchie dei gentiluomini del posto, scatenando una corsa a chi più voleva accaparrarsi un pugno delle polveri prodigiose. E ancora si narra che, mentre il nuovo simulacro veniva trasportato via mare nel Salento da Venezia, una terribile tempesta fece naufragare la nave. L’unica cosa a salvarsi fu il modellino della statua.

Nel 1799 la statua servì come pretesto a reazionari e preti per istigare la plebe contro la Repubblica”, scrive Mario Cazzato. Lo stesso anno, proprio alla base della colonna, fu piantato l’Albero della libertà. Il giorno successivo qualcuno vociferava di aver visto Sant’Oronzo nell’intento di spiccare il volo per allontanarsi dalla colonna, perché sdegnato dalla presenza della pianta. Il popolo si ribellò e, inviperito, sradicò l’albero e distrusse gli stemmi repubblicani per poi sostituirli con quelli borbonici.

Nel 1861, un gruppetto di reazionari cercò di convincere la gente di aver visto dell’acqua miracolosa sgorgare dalla colonna ma, pare, questa volta, nessuno vi credette. Dal 1656, e per molti anni, a chiunque partorisse un figlio maschio veniva imposto di chiamarlo Oronzo. Una donna non accettò tale intimazione e questo segnò la rovina del figlio. La medesima notte, rimase sconcertata nello scoprire che il suo pargoletto era diventato femmina. Dopo tre giorni morì. Questo episodio, sempre legato al mito, colpì talmente la cittadinanza leccese che anche molti uomini adulti decisero di cambiare nome e di chiamarsi come il santo.

Come potrebbe la Città di Lecce rinunciare alla colonna di Sant’Oronzo? Come potrebbero i salentini passeggiare in quella piazza e non poter più scorgere tale monumento? Le polemiche sorte intorno alla questione, che ha visto contrapporsi i leccesi ai brindisini, partono dall’attaccamento che gli abitanti di questa terra hanno verso tale bene architettonico. Un monumento che ha visto passare tanti uomini, ha assistito a tanti accadimenti e che si è reso protagonista di racconti più o meno verosimili che gli hanno donato il fascino che ancora oggi conserva. Non sapremo mai se queste leggende sono vere o frutto della fervida immaginazione di qualcuno, o meglio ancora di una suggestione collettiva. Una cosa, tuttavia, è certa: Sant’Oronzo e la sua colonna al centro della piazza leccese rappresentano uno dei simboli del Salento e perciò là devono restare. Il destino ha voluto così.   

 

 


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